Sappiamo che sono schermaglie tattiche, in cui ognuno cerca di posizionarsi al meglio in vista della formazione del governo. Quindi non c’è scandalo né sorpresa.
Però lo spettacolo osservabile in queste ore non è dei migliori, anzi è proprio pessimo.
I richiami di Di Maio sono totalmente fuori dal perimetro di chi lavora lealmente ad una coalizione di governo, già difficile da costruire di per sé.
La reazione del Pd (per bocca del vicesegretario Orlando) mostra chiaramente tutti i limiti della trattativa, in cui la sinistra italiana rischia seriamente di giocarsi l’anima.
Anche i silenzi del presidente incaricato sono eloquenti, perché rendono plastica la delicatezza del passaggio stretto oppure, più probabilmente, la sua irrilevanza.
A fronte di tutto ciò c’è un’opposizione spaccata a metà, con Berlusconi alla testa dell’ala (numericamente assai minoritaria) che agisce con approccio ragionevole (e di rigorosa osservanza europea) ma con Salvini e Meloni già a stampare i manifesti per le manifestazioni di piazza.
In queste condizioni si va al rush finale per la costruzione del governo, che però, almeno nella sua composizione, è destinato a lasciare a molti l’amaro in bocca.
Sarà infatti pressoché impossibile coniugare i comprensibili obiettivi di tutte le parti in causa (per capirci meglio: le varie correnti dentro M5S e Pd) con l’auspicio di una lista di ministri spumeggiante per competenza e freschezza.
Per questo ci permettiamo di tornare su un tema facile facile da cogliere: quando regna sovrana la confusione meglio per tutti tirare una riga. Che in questo caso ha un solo nome e un solo cognome: elezioni al più presto e poi, solo poi, sforzi responsabili per formare un governo.
Meglio (sempre) prevenire che curare.