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Rischio foreign fighters. L’Europa fa orecchie da mercante e Trump…

Donald Trump torna all’attacco e ripropone un pericoloso ultimatum alle nazioni europee da cui partirono i foreign fighters per la Siria e l’Iraq: gli Stati Uniti, ha detto il presidente, hanno catturato centinaia di combattenti dell’Isis e se i paesi di provenienza come la Francia e la Germania non li riprenderanno, “non avrò altra scelta che rimandarceli” perché gli Stati Uniti non li metteranno a Guantanamo. Se lo facesse, significherebbe liberare centinaia di terroristi, forse 800, con le conseguenze che si possono immaginare. Lo farà davvero? Forse no, ma Trump non ha tutti i torti visto che nessun Paese europeo sembra avere la minima intenzione di accollarsi detenzioni, processi, rischi di radicalizzazione in carcere e prima o poi una scarcerazione con la quasi certezza di rimettere in libertà chi ha scontato una condanna e non vede l’ora di ricominciare la guerra.

Non è la prima volta che Trump chiede agli europei di riprendere i loro connazionali andati a combattere per il Califfato. Lo fece anche nello scorso febbraio e le risposte furono molto negative: la Francia disse che devono essere processati e condannati dove sono stati catturati, cioè in Siria e in Iraq; simile la posizione della Gran Bretagna perché sarebbe quella la giurisdizione più appropriata; in parte diversa la decisione del Belgio, che vorrebbe riprendere i bambini sotto i 10 anni, con polemiche interne e difficoltà giuridiche notevoli; fredda la posizione del governo tedesco che giudicò molto difficile il rientro. In pratica, un blocco di no.

Un’eccezione positiva è stata l’Italia che un paio di mesi fa ha estradato dalla Siria l’italo-marocchino Samir Bougana, 25 anni, ora in carcere dopo una lunga indagine della Digos di Brescia e la ripetuta volontà del combattente di tornare in Italia. La decisione italiana fu elogiata dal segretario di Stato americano, Mike Pompeo: con questo rimpatrio l’Italia ha “fornito un importante esempio a tutti i membri della coalizione globale e della comunità internazionale su come dobbiamo lavorare insieme per affrontare la questione dei militanti stranieri che hanno viaggiato per combattere con l’Isis”. Come abbiamo già scritto, è vero che la posizione italiana è molto più semplice perché i combattenti prigionieri sono forse un paio rispetto alle centinaia di altre nazioni europee, ma è altrettanto vero che è stato dato un segnale garantendo un processo equo mentre chi è prigioniero in Siria o in Iraq rischia la pena capitale. E magari Bougana può fornire notizie interessanti all’Antiterrorismo.

L’unica soluzione realistica sembra un tribunale internazionale: una proposta svedese in tal senso dovrebbe essere discussa alle Nazioni Unite nel prossimo autunno. Almeno fino ad allora Trump dovrà fare buon viso a cattivo gioco.



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