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Democrazia. Alla ricerca di una nuova sintesi

Avrà un futuro la democrazia? Quante volte ci si è posti nell’ultimo periodo questa domanda! E quante riflessioni allarmate, non solo in Italia, si son fatte sulla “crisi” o, per alcuni, sul tramonto della democrazia.

Hanno dato il là i politologi o gli scienziati della politica, i quali, ragionando per lo più con schemi astratti e astratte categorizzazioni, non hanno avuto la capacità, pur non rare volte credendo presuntuosamente il contrario, di arrivare al nucleo forte della realtà. La quale ci dice che il secolo scorso, il Novecento, è stato indubbiamente il secolo della democrazia, ma che di democrazie, nel senso proprio della parola, se ne son viste tante e di diversi tipi, non tutti raccomandabili.

Se poi intendiamo con democrazia quella costituzionale, rappresentativa e liberale dei Paesi occidentali, beh il discorso è diverso. Il suo espletarsi, con le inevitabili contraddizioni, soprattutto nella seconda metà del secolo scorso, non è stata che una felice congiunzione storica. La quale ha fatto sì che, in un sistema basato sul consenso, fosse possibile imbrigliare le spinte vitali delle masse lungo certi e ben definiti canali procedurali. Canali che garantivano comunque in buona sostanza il valore a tutti più caro: la libertà individuale.

Oggi è proprio questo processo di incanalamento che, almeno in quelle forme, è venuto meno. Anzi non è più possibile, e sempre più non lo sarà in futuro. Per il semplice fatto che quelle forme erano appropriate ad un modello di società più lento, meno interconnesso, più organizzato in strutture stabili, rispetto a quello che oggi abbiamo sotto gli occhi. Facciamo un esempio. Per quanti sforzi si possa fare, è difficile pensare alla rappresentanza, cioè alla mediazione parlamentare, in un mondo in cui, grazie a ritrovati tecnici e a nuove realtà virtuali e persino “aumentate”, i leader, e i politici in genere, possono conoscere e misurare in ogni momento gli umori, i sentimenti e le idee dei propri elettori; e questi ultimi, orfani fra l’altro di ideologie forti, fluttuano continuamente da un ordine valoriale all’altro.

In questo orizzonte di senso, la rappresentanza, l’elemento forte delle democrazie liberali, si converte sempre più in rappresentazione. E la politica, in quanto ricerca umana dell’utile, prende, e sempre più prenderà, le forme di qualcosa che sta a mezzo fra lo spettacolo, la persuasione, la proposizione e contrapposizione retorica di stili e abiti di vita. “Ripensare la politica” è, con molta probabilità, un’altra di quelle frasi fatte e senza senso di cui si alimenta certo discorso mainstream pseudoculturale: la politica si fa, non si pensa, ed è insopprimibile dall’essere umano.

Quella che va ripensata è invece la libertà, la capacità di garantire, nella situazione data, ad un buon livello, quell’autonomia morale che è per ogni individuo irrinunciabile. La faglia che si creata fra le cosiddette “élite” e le cosiddette “masse” segnala null’altro che l’incapacità che hanno mostrato e mostrano le vecchie classi dirigenti di pensare con categorie nuove la nuova realtà. Le nuove classi dirigenti invece, le forze cosiddette “populiste”, si sono assunte il carico di non distaccarsi dal dato reale. Certo, lo hanno fatto e lo fanno in modi a dir poco insoddisfacenti. Ma si muovono, sono alla ricerca. La nuova sintesi germoglierà sul terreno da loro arato, non assumerà certo le forme di un semplice ritorno al passato. Quale sarà la nuova sintesi, se sarà liberale, e cosa possiamo fare; queste sì che sarebbero domande da farsi, provando almeno ad immaginare qualche risposta. Certo, poi la realtà ci sorpasserà. Almeno però non ci avrà trovato impreparati.

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