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Hong Kong in fiamme. La Cina inasprisce la linea dura (e sono guai)

Da Hong Kong, il Porto Profumato, esce la puzza della benzina bruciata dalle molotov lanciate dai manifestanti contro il parlamento locale. Arriva oggi l’effetto violento delle repressioni di ieri. È il giorno più intenso dal 9 giugno, l’inizio dei moti. Nell’aria si respira esasperazione.

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La soppressione delle proteste cinese ieri ha avuto un’accelerazione, stringendo la cinghia con diversi arresti preventivi: leader delle organizzazioni, deputati e attivisti, finiti dietro le sbarre per evitare che in questo quattordicesimo fine settimana di dimostrazioni potessero mobilitare nuovamente le folle.

#ChiNazi è uno degli slogan di oggi, collegato a una bandiera cinese dove le stelle disegnano una svastica. La portavano in corteo dei manifestanti stamattina. La polizia, su spinta delle autorità locali e dunque di Pechino, ieri ha anche proibito per la prima volta una manifestazione prevista per oggi pomeriggio. Ma queste prove di forza — abbinate a un’altra ancora più smaccata con cui il governo cinese ha deciso di non far seguito alla volontà dell’amministrazione hongkonghese che s‘era detta disposta a ritirare la legge sull’estradizione che ha portato all’esplosione di rabbia di questi mesi — hanno esasperato i toni e peggiorato la situazione.

È l’effetto atteso dalle autorità cinesi: estremizzare il quadro avrebbe portato i più violenti a gesti aggressivi da poter reprimere consequenzialmente, secondo la retorica anti-aggressori usata da Pechino, che ha già parlato più di una volta di azioni terroristiche.

Ormai infatti non bastano più le cariche violente, l’uso dell’autorità sopra il diritto, le minacce dirette con messaggi militareschi che escono dai video dei rafforzamenti militari cinesi. Chi va in strada adesso sfida di i divieti e sa quel che rischia, ed è disposto a tutto perché combatte per qualcosa di enorme: ormai i manifestanti nell’ex colonia britannica, tornata nel 1997 provincia cinese, chiedono il passo successivo, la democrazia.  Una delle barricate costruite dai manifestanti vicino al quartier generale della polizia (assaltato già il 21 giugno, azione che è costato l’arresto postumo ad alcuni leader delle proteste fermati ieri) è stata incendiata.

Le fiamme hanno bloccato l’azione della polizia che cercava di sgomberare. Gli elicotteri governativi battono le vie dell’hub finanziario globale traditnsyo in un teatro di guerriglia urbana. I visori ottici oscurati dal fumo che scherma i manifestanti in prima linea. Le camionette con gli idranti (sparati dai poliziotti a pressioni sopra ai limiti a quanto pare, e con acqua contenenti traccianti blu indelebili per rendere individuabili le persone coinvolte sul fronte più caldo degli scontri) sono state investite da piogge di molotov e pietre.

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Potenzialmente siamo già oltre quel limbo caotico in cui, sotto pressione, a qualcuno può scappare il colpo letale. Sui media cinesi tornano a circolare le immagini di poliziotti in tenuta antisommossa pronto a entrare a Hong Kong da Shenzen.

La governatrice Carrie Lam ha fatto sapere che per “sedare il caos” sta prendendo in considerazione l’uso della radicale Ordinanza sui regolamenti d’emergenza di Hong Kong, una legge dell’era coloniale che conferisce ai leader locali ampi poteri per “rendere qualsiasi regolamento che egli possa considerare desiderabile nell’interesse pubblico”.

Un timore è che la legge possa essere utilizzata per giustificare il blocco di alcune app di messaggistica popolari tra i manifestanti, tipo Telegram usata per coordinamento e per diffondere immagini e informazioni. Se chiusa, renderebbe muta la protesta: un contesto che potrebbe aprire spazi per molte azioni spinte.

(Foto: Teotter, @alexhofford)

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