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Lettera ai presbiteri. Nell’epoca del tutti “contro”, Bergoglio propone di essere “con”

È un altro passo rivoluzionario quello compiuto da Papa Francesco, che ha scritto una lettera ai suoi “fratelli presbiteri” e l’ha firmata non dalla Città del Vaticano, non da San Pietro, ma da San Giovanni in Laterano, dove risiede quale vescovo di Roma. Dunque è il vescovo di Roma, in quanto tale detentore del primato petrino per i cattolici, che si è rivolto ai presbiteri, gli appartenuti al grado intermedio dell’ordine sacerdotale. Si tratta di quelli che noi normalmente chiamiamo “preti”. Questo è il primo atto da sottolineare; la lettera è di tutta evidenza firmata dal vescovo di Roma, una figura che il sistema ecclesiale ha quasi cancellato visto che a governare la città è il “cardinal vicario”, che guida gli uffici non del vescovo di Roma ma del vicariato di Roma.

UNA LETTERA FIRMATA DAL PAPA COME VESCOVO DI ROMA

Ma Francesco non è persona da fermarsi alle rivoluzioni di forma, e la sostanza rivoluzionaria arriva evidente nella scelta del giorno. Il vescovo di Roma scrive ai presbiteri nel 160esimo anniversario  della morte del santo Curato d’Ars, proposto da Pio XI come patrono di tutti i parroci del mondo. E cosa fa? Li conforta, ricorda loro l’importanza del loro servizio, li ringrazia dei loro sacrifici, dei loro dolori, delle loro difficoltà, della loro dedizione. Certo, Bergoglio sa bene che di questi tempi si parla dei sacerdoti per lo scandalo degli abusi contro i minori, e lo dice subito, lo richiama all’attenzione di tutti: “Negli ultimi tempi abbiamo potuto sentire più chiaramente il grido, spesso silenzioso e costretto al silenzio, dei nostri fratelli, vittime di abusi di potere, di coscienza e sessuali da parte di ministri ordinati. Indubbiamente, è un tempo di sofferenza nella vita delle vittime che hanno subìto diverse forme di abuso; anche per le loro famiglie e per tutto il Popolo di Dio”.

La denuncia però viene seguita dal riconoscimento dei tanti sacerdoti che hanno subito lo scandalo come una ferita perché loro hanno continuato a servire veramente. E qui emerge il tratto innovativo, oggi rivoluzionario, di questa lettera. Tolti i religiosi che hanno tradito tutta la Chiesa, questa lettera è tesa a rincuorare  non indicando un nemico, qualcuno che ci è “contro”, ma schierandosi con. Non ci sono nemici, non ci sono capri espiatori, non ci sono eserciti avversi contro i quali mobilitarsi, non c’è un grande no per giustificare la richiesta di un “sì”.

UNA LETTERA “CON” NON CONTRO

Gli esempi politici delle chiamate “contro” oggi non si contano, inutile fare esempi. Ogni leadership, politica o statuale,  rinsalda il suo campo “contro” qualcuno. Questa lettera di riconoscimento, ringraziamento e vicinanza a tutti i presbiteri del mondo non contiene nemici, né espone nuove catene di “no”. Le novene dei “no” alle quali ci siamo abituati nel tempo sono interminabili, penetrano nelle stanze da letto dei coniugi, nelle carte d’identità dei genitori, nei colori della pelle: indicano, giudicano, escludono. Qui invece si ricorda la misericordia del Padre, ma soprattutto si pongono al centro “i santi della porta accanto” che hanno addirittura determinato e consentito la vocazione:  “Un giorno abbiamo pronunciato un ‘sì’ che è nato e cresciuto nel seno di una comunità cristiana grazie a quei santi ‘della porta accanto’ che ci hanno mostrato con fede semplice quanto valeva la pena dare tutto per il Signore e il suo Regno. Un ‘sì’ la cui portata ha avuto e avrà una trascendenza insospettata, e che molte volte non saremo in grado di immaginare tutto il bene che è stato ed è capace di generare. È bello quando un anziano sacerdote è circondato e visitato da quei piccoli – ormai adulti – che agli inizi ha battezzato e, con gratitudine, vengono a presentargli la loro famiglia! Lì abbiamo scoperto che siamo stati unti per ungere e l’unzione di Dio non delude mai e mi fa dire con l’Apostolo: ‘Continuamente rendo grazie per voi’ (Ef 1,16) e per tutto il bene che avete fatto”.

I SANTI DELLA PORTA ACCANTO

Questo legame con i “santi della porta accanto”, santi sconosciuti, santi ignorati, santi mai canonizzati, santi della quotidianità e nella quotidianità, non può che condurre Francesco a sviluppare un percorso teologico che appare portarlo dall’essere stato un’architrave della “teologia del popolo” al divenire il Pontefice della “teologia dei popoli”. Alla vigilia di un sinodo della Chiesa universale epocale come quello sull’Amazzonia, per la nascita di una Chiesa non “per l’Amazzonia” ma “dell’Amazzonia”, Jorge Mario Bergoglio raccomanda ai suoi presbiteri le due priorità: aumentare il legame con Gesù e aumentare il legame con il “vostro popolo”: “Aumentate e nutrite il vincolo con il vostro popolo. Non isolatevi dalla vostra gente e dai presbiteri o dalle comunità. Ancora meno non rinchiudetevi in gruppi chiusi ed elitari. Questo, alla fine, soffoca e avvelena lo spirito. Un ministro coraggioso è un ministro sempre in uscita; ed “essere in uscita” ci porta a camminare ‘a volte davanti, a volte in mezzo e a volte dietro’: davanti, per guidare la comunità; in mezzo, per incoraggiarla e sostenerla; dietro, per tenerla unita perché nessuno rimanga troppo, troppo indietro, per tenerla unita, e anche per un’altra ragione: perché il popolo ha ‘fiuto’! Ha fiuto nel trovare nuove vie per il cammino, ha il ‘sensus fidei’ [cfr Lumen Gentium, 12]. Che cosa c’è di più bello?”. Gesù stesso è il modello di questa scelta evangelizzatrice che ci introduce nel cuore del popolo. Quanto bene ci fa vederlo vicino a tutti! Il donarsi di Gesù sulla croce non è altro che il culmine di questo stile evangelizzatore che ha contrassegnato tutta la sua esistenza”.

UNA TEOLOGIA DEI POPOLI

Questo passaggio non si capisce senza tenere conto della portata locale e globale di un’altra recente affermazione di Francesco, il Papa della teologia del popolo, che in queste ore parlando agli scout ha illuminato il legame che qui ho cercato di indicare tra la teologia del popolo e questa “teologia dei popoli”, ha detto: “Se partiamo dai preconcetti sugli altri, da idee prestabilite, vedremo sempre limiti e barriere. Se invece incominciamo a incontrare l’altro, con la sua storia, con la sua realtà, scopriremo un fratello col quale abitare la casa comune, abitare il creato che non ha frontiere”.

Il cammino di Papa Francesco è un cammino importantissimo per il mondo del fallimento della “globalizzazione reale”: ne prende atto, ma senza costruire nemici, piuttosto riconosce fratelli. E per avere popoli fratelli un popolo deve esistere. Così i suoi presbiteri oggi sono chiamati ad essere ovunque pastori del popolo di Dio ma in uscita, per tutto il popolo di cui hanno cura, in fratellanza con gli altri popoli. Così la crisi degli abusi troverà nella chiusura autoreferenziale della casta la sua causa e nella consapevolezza di questo la sua soluzione: e i presbiteri di Francesco non diventeranno, denunciandolo, né presbiteri di popoli contro altri popoli nel nome di una religione secolarizzata, né garanti di un ordine escludente, nei confronti di qualsiasi “altro”, magari l’altro “omosessuale”, chiamato da un altra Chiesa la “peste arcobaleno”.

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