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Il no alla Mare Jonio. L’ultima sfida del Salvini ministro

Ennesimo e prevedibile braccio di ferro tra la nave di una ong con migranti a bordo e il ministero dell’Interno. Stavolta lo stallo riguarda la Mare Jonio della ong Mediterranea Saving Humans. Giovedì 29 agosto il Viminale aveva autorizzato lo sbarco di 64 persone (bambini, donne e malati) confermando il divieto di ingresso nelle acque italiane di “una nave che non rispetta le leggi e che preordinatamente provoca lo stato di necessità a bordo per sbarcare in Italia”. A bordo al largo di Lampedusa sono rimasti in 34, persone che secondo la ong sarebbero in condizioni psicofisiche vulnerabili per le violenze subite in Libia e per aver assistito alla morte di sei compagni di viaggio: di fronte al no del ministro Matteo Salvini si minaccia una denuncia per omissioni di atti d’ufficio e si ricorda le recente vicenda della Open Arms, quando prima il Tar del Lazio il 14 agosto ordinò l’ingresso nelle acque italiane, poi vi fu lo sbarco dei migranti in difficoltà (tra il 15 e il 17), anche per l’intervento del presidente del Consiglio, e infine il sequestro dell’imbarcazione da parte della procura di Agrigento il 20 agosto con lo sbarco di tutti gli altri.

Nell’email della Mediterranea Saving Humans inviata al Centro di coordinamento marittimo italiano (la sala operativa della Guardia costiera) si ribadisce il concetto dell’obbligo del salvataggio delle vite in mare e che il diritto internazionale prevale sul decreto sicurezza sul quale si basa il divieto firmato il 28 agosto dai ministri Salvini, Elisabetta Trenta e Danilo Toninelli. Naturalmente Salvini tiene duro, anche se proprio sull’obbligo di salvataggio in mare e sul fatto che il comandante di una nave debba osservare la normativa internazionale il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, aveva sollevato obiezioni nel promulgare la legge di conversione del decreto sicurezza bis, oltre a sottolineare che le sanzioni sono troppo elevate e l’eccessiva discrezionalità affidata a un atto amministrativo qual è il divieto di ingresso. Un appello a fare scendere gli ultimi 34 è arrivato anche dal cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento.

Nel migliore dei casi il governo tra Partito democratico e Movimento 5 Stelle, con un nuovo titolare del Viminale, nascerà a metà della prossima settimana e sembra difficile che lo stallo possa durare ancora così tanti giorni. Salvini non può mollare anche se sa di tirare la corda al limite visto che tutti aspettano le decisioni della procura di Agrigento che finora non ha iscritto nessun nome nel registro degli indagati per il caso Open Arms: il fumus del sequestro di persona ipotizzato dal gip Stefano Zammuto nell’atto di dissequestro della nave lascia aperte tutte le possibilità.

Volontà di collaborazione con l’Italia, critiche alle ong e ringraziamenti all’Organizzazione internazionale per le migrazioni sono stati espressi dal portavoce della marina libica, Ayoub Omar Kassem, in un’intervista al sito al Wasat rilanciata dall’Ansa. Kassem ricorda che non esiste una sala operativa congiunta tra Italia e Libia bensì una collaborazione basata sull’accordo del 2008, quello tra Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi, ma non fa cenno al successivo del 2017 tra Paolo Gentiloni e Fayez al Serraj, con la regia di Marco Minniti, che di fatto estese la validità dell’accordo di 9 anni prima. C’è poi un ringraziamento al direttore generale dell’Oim, William Lacy Swing, per il sostegno sotto forma di addestramento e di apparecchiature anche se condito con una frecciata visto che “è poco e non all’altezza rispetto ai soldi introitati in nome del sostegno agli sforzi della Libia nella lotta all’immigrazione clandestina”. Kassem inoltre nega che la Guardia costiera libica sia responsabile di morti in mare perché “compiamo salvataggi in conformità alle norme internazionali” e ricorda il punto fondamentale di un controllo delle frontiere.

Mentre al largo di Lampedusa 34 sono bloccati su una nave, altri 50 migranti sono arrivati in Italia: quattro rintracciati sull’isola di Linosa e 46 algerini sbarcati in due momenti diversi nella Sardegna meridionale. Naturalmente non si tratta di sbarchi fantasma, come si legge e si ascolta in tv: li si può definire tali solo quando si trova una barca abbandonata senza rintracciare chi è arrivato e scatta un campanello d’allarme anche all’antiterrorismo. In queste settimane continuano invece normalissimi sbarchi non di fantasmi, ma di persone in carne e ossa. Tentare di spiegarlo all’opinione pubblica è fatica sprecata.

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