Cronaca delle ore più pazze della crisi più pazza del mondo, come un gioco dell’oca, in cui chi voleva le elezioni subito (Salvini e Zingaretti) potrebbe averle in questa crisi che sarà ricordata per i numerosi colpi di scena, oltre che per la primizia di eventuali urne autunnali in piena legge di bilancio.
Le parole pronunciate ieri da Luigi Di Maio (“o le nostre condizioni o il voto”) in un colpo solo hanno fatto precipitare la crisi, fatto salire il premier incaricato Giuseppe Conte al Colle e riabilitato gli amici/nemici del capo politico del M5s (Salvini e Di Battista).
Al netto di un quadro che è in fisiologico e continuo mutamento, ecco che l’attenzione e le dichiarazioni si spostano dalla potenziale nuova squadra di Palazzo Chigi al Colle, dove si dice che Conte sia anche pronto a rimettere il mandato.
Il leader leghista, in calo ma sempre in testa nei sondaggi, chiede uno scatto al Quirinale, forse alludendo anche al piglio maggiormente decisionista dell’ex Capo dello Stato Giorgio Napolitano, che per la prima volta andò oltre il canonico settennato proprio per la straoridinarietà del momento: “Presidente Mattarella – ha detto Salvini – basta, metta fine a questo vergognoso mercato delle poltrone, convochi le elezioni e restituisca la parola e la dignità agli italiani”.
Ne ha anche per gli ex alleati del centrodestra il capo della Lega, quando paragona Forza Italia al M5s, provocando la stizza di Annamaria Bernini (“Il centrodestra diviso permette alle sinistre di governare senza vincere le elezioni”).
Alessandro Di Battista plaude all’ex vicepremier, aggiungendo che Luigi “ha parlato come avrei parlato anch’io”. E punta il dito contro i dem, accusandoli di far saltare tutto “perché non vogliono fermare inceneritori e trivellazioni, non intendono colpire i conflitti di interessi che generano accentramento di potere, non pensano di salvaguardare l’acqua pubblica o di redimersi dopo anni di regalie fatte proprio da loro ai Benetton beh, lo spiegheranno ai loro elettori e lì, forse, capiranno il significato della parola ultimatum”.
Ma è il “resto” dell’agone politico italiano che prende atto dei riverberi delle mosse di Di Maio. Ad esempio l’ex ministro della Giustizia e attuale sindaco di Benevento, Clemente Mastella, osserva di non aver mai visto nella storia politica che il segretario del partito che esprime il presidente del consiglio incaricato “anziché smussare gli angoli, addolcire gli spigoli programmatici, si irrigidisce, si impunta, sbatte la porta in faccia col rischio di far saltare il nuovo contratto di governo”. Per cui, riflette, “o Di Maio ancora gioca con Salvini oppure è un nano che sulle spalle di Grillo è apparso un piccolo Polifemo accecato da sete di potere”.
E sulle mosse delle prossime ore punta tutte le sue fiches sullo schema Eliseo per Conte, “faccia il Macron italiano, troverebbe molti consensi”. “Se gli altri saranno disponibili, noi siamo pronti a continuare il lavoro che abbiamo fatto prima, altrimenti prenderemo atto della situazione” ha aggiunto il capogruppo del PD al Senato Andrea Marcucci.
Un quadro sempre più scomposto, in una crisi giunta davvero al limite, con all’orizzonte lo scenario post 4 marzo 2018: grillini contro Pd e Lega contro FI.
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