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Serraj vede AfriCom. Gli Usa sono sulla Libia, e l’Italia?

Ieri a Tunisi c’è stato un altro passaggio importante che riguarda gli Stati Uniti e la Libia. Il nuovo capo del comando del Pentagono che copre l’Africa (Africom), il generale Stephan Townsend, accompagnato dal nuovo ambasciatore Usa in Libia, Richard Norland, ha avuto un colloquio nella capitale tunisina con Fayez Serraj, guida del Consiglio presidenziale libico, ossia l’organismo che veicola il progetto di governo di riunificazione onusiano che va sotto l’acronimo inglese Gna.

“Abbiamo sottolineato al Primo Ministro Al-Sirraj (Serraj, ndr) l’importanza di sostenere una soluzione diplomatica per porre fine all’attuale conflitto”, ha scritto Africom in una nota citando Towsend, aggiungendo che il comandante e Norland si incontreranno anche con il capo della missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia, Ghassan Salame.

Questo genere di contatti, in un contesto delicatissimo come quello libico, sono fondamentali, e non sono i primi che segnano qualche movimento americano sul dossier libico (per dottrina considerato da Washington con una certa distanza, e parte del quadro complessivo del Mediterraneo allargato e non come problematica in quanto tale).

Dietro l’arrivo del nuovo ambasciatore, e nuovi contatti del vice di Serraj, il misuratino Ahmed Maitig, negli Stati Uniti, e forse l’insostenibilità della situazione attuale – una nuova guerra civile lanciata dal ribelle dell’Est, il signore della guerra Khalifa Haftar, che quattro mesi fa ha mosso su Tripoli, dove Serraj è insediato, nel tentativo di rovesciarlo e conquistare il paese.

Ieri, l’autoproclamato Feldmaresciallo della Cirenaica ha provato a riconquistare Gharyan, cuore logistico dell’offensiva sulla capitale, perso settimane fa per un attacco a sorpresa delle milizie che difendono il governo Onu. Ma è stato un flop. Le forze della Tripolitania, sostanzialmente le milizie della città-stato di Misurata, hanno respinto gli haftariani, catturando anche Fawzi Buharara, uno dei comandanti dell’Lna (la milizia dell’Est).

L’avventurismo di Haftar ha prodotto sangue e distruzione, ma nei fatti la cavalcata su Tripoli non c’è stata, e le truppe – parzialmente isolate, perché Gharyan era lo snodo che faceva da centro di coordinamento per tutti i rinforzi che arrivano dalla Cirenaica – fanno segnare varie defezioni. Fonti locali vicine al Gna ci parlano di combattenti demotivati che spesso depongono le armi stanchi di combattere e si consegnano alle milizie misuratine. Tra l’altro, sembra che i partner esterni di Haftar – Emirati Arabi ed Egitto – abbiano ridotto il flusso di rinforzi e armamenti per puntellare il Feldmaresciallo.

In questo quadro che potrebbe essere vicino a una svolta, con l’aumento dell’impronta americana nella sfera politico-diplomatica (rappresentata anche dalle capacità di dialogo che certi comandanti come Towsend hanno), pesa l’assenza dell’Italia, impantanata nella crisi politica.

Non ci sono prove a favore, ma non è da escludere che Haftar sia stato spinto all’azione, ad aprile, dal vuoto lasciato da Roma con la mancanza di una strategia per la Libia. Ora il rischio è che la posizione italiana possa anche essere più sommessa, tanto che l’unica forza politica che ha preso in questi mesi una posizione chiara è stata la Lega, probabilmente fuori dal prossimo esecutivo.

Ultimamente il Partito Democratico s’è mosso contro se stesso, ossia contro il finanziamento della missione italiana in Libia – un ospedale militare che sta a Misurata e di cui Haftar fa bombardare il perimetro. Quella missione era stata decisa dai governi Pd precedenti, che avevano costruito un ottimo lavoro in Libia. Il Movimento 5 Stelle e il premier, così come la ministro della Difesa, hanno avuto posizioni particolari sul dossier. Giuseppe Conte ha definito Haftar “un interlocutore” nonostante bombardi a pochi centinaia di metri dai nostri militari; bombardamenti che Elisabetta Trenta ha giustificato come “molto precisi”. E intanto, la Libia sembra un altro di quei temi su cui Washington sta prendendo spazio e chiede ai partner una linea più decisa e forte. Il nuovo governo saprà rispondere all’appello?

 

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