Chi guiderà l’intelligence statunitense? L’attuale ambasciatore americano nei Paesi Bassi, Pete Hoekstra, risulterebbe tra i candidati maggiormente papabili per la poltrona di Director of National Intelligence. Nominato ambasciatore nel 2017, Hoekstra è entrato formalmente in carica all’inizio dell’anno successivo. Ex deputato per lo Stato del Michigan, ha servito come capo della Commissione Intelligence della Camera dal 2004 al 2007, continuando poi a farne parte fino al 2011. Si tratta di un profilo abbastanza destrorso, particolarmente legato alle galassie conservatrici del Partito Repubblicano. Donald Trump lo ha elogiato venerdì scorso, dicendo ai giornalisti: “Mi piace molto Pete Hoekstra, è un grande. Sta facendo un ottimo lavoro nei Paesi Bassi.”
Al di là dell’appoggio presidenziale, l’ex deputato dovrebbe poter contare sulla compattezza della compagine repubblicana, oltre che sulla simpatia di qualche esponente democratico (come, per esempio, il deputato del Maryland Dutch Ruppersberger). Tutto questo, nonostante alcune posizioni tenute in passato potrebbero adesso “perseguitarlo” dalle parti dell’Asinello: un tempo, mise in dubbio che Barack Obama fosse nato negli Stati Uniti e sostenne che l’assistente di Hillary Clinton, Huma Abedin, avesse dei legami con la Fratellanza Musulmana.
Il presidente americano ha comunque sottolineato di non aver ancora compiuto una scelta, dichiarando di voler lavorare di comune accordo con la Commissione Intelligence del Senato. Anche perché – come riporta la testata The Hill – quello di Hoekstra non risulta al momento l’unico nome papabile sul tavolo. Un altro profilo in lizza sembrerebbe infatti quello di Joseph Maguire: ex direttore del controterrorismo e appena nominato da Trump Director of National Intelligence pro tempore.
Anche su di lui il presidente ha infatti pronunciato parole di elogio: “L’ammiraglio Maguire è un uomo di grande talento. È un grande leader … è un uomo rispettato da tutti e resterà lì per un certo periodo di tempo. Chi lo sa? Forse ottiene l’incarico. Ma lui sarà lì per un periodo di tempo. Forse un periodo di tempo più lungo di quanto pensiamo. Vedremo.”
Altre ipotesi che circolano sono poi quella del deputato dell’Alabama, Mike Rogers, e dell’ex senatore della George, Saxby Chambliss (che ha fatto parte della Commissione Intelligence al Senato). Insomma, la girandola di nomi per la poltrona di capo dell’intelligence continua a vorticare. Del resto, al di là dell’ovvia importanza dell’incarico, si tratta di una questione particolarmente delicata per Trump. Il presidente non ha infatti mai nutrito eccessive simpatie per le agenzie di intelligence: un mondo che il magnate considera tutto sommato a lui ostile.
A testimoniare questo stato di cose si sono d’altronde registrate le periodiche turbolenze che hanno caratterizzato i rapporti tra lo stesso Trump e l’ormai ex Director of National Intelligence, Dan Coats. Nominato dal presidente nel 2017, le relazioni tra i due si sono assai spesso rivelate abbastanza tumultuose. Nel corso di un’audizione al Senato lo scorso gennaio, Coats contraddisse platealmente la linea presidenziali su alcuni dossier scottanti, come la distensione con la Corea del Nord e l’efficacia del contrasto all’Isis.
Tuttavia la questione maggiormente divisiva tra i due è sempre stata la Russia. Poche ore dopo che Trump – nel corso del summit di Helsinki con Putin nel luglio del 2018 – aveva attaccato l’intelligence americana sul caso Russiagate, Coats emise un comunicato in cui ribadiva che Mosca avesse interferito nelle elezioni presidenziali del 2016. Una fibrillazione costante, che ha portato Trump a silurarlo un paio di settimane fa.
Per la sostituzione, l’inquilino della Casa Bianca aveva subito fatto il nome di John Ratcliff, attuale deputato repubblicano per lo Stato del Texas e convinto sostenitore delle politiche del presidente. In particolare, costui si era distinto nel corso dell’audizione di Robert Mueller alla Camera il mese scorso, quando aveva duramente attaccato il procuratore speciale dell’inchiesta Russiagate, accusandolo di non tenere in debita considerazione il principio della presunzione di innocenza. Questo nome ha tuttavia provocato polemiche. Se il Partito Repubblicano si è di fatto spaccato in due (tra chi lo sosteneva e chi invece lo considerava troppo inesperto per un simile ruolo), i democratici sono andati all’attacco, accusando il deputato di essere un profilo eccessivamente partigiano. Un trambusto che ha alla fine portato Trump a fare un passo indietro sulla sua nomina.