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Così Trump sfruguglia Google (via Twitter). Casa Bianca ancora contro i big tech

Odi et amo. Da quando è diventato presidente degli Stati Uniti Donald Trump non ha mai siglato una vera tregua con i colossi hi-tech della Silicon Valley. A metà luglio aveva difeso su Twitter “le meravigliose aziende tecnologiche americane” dalla web tax del governo francese, annunciando una rappresaglia contro “la stupidità di Macron”. Oggi torna a metterle nel mirino.

Protagonista dell’ultima schermaglia via twitter il ceo di Google Sundar Pichai. “Era con me nello Studio Ovale cercando di spiegarmi quanto mi adora, che il governo sta facendo un gran lavoro, che Google non è mai stato colluso con l’esercito cinese, che non hanno aiutato Crooked Hillary (Clinton, ndr) contro di me nelle elezioni del 2016, e che non sta pianificando di sovvertire le elezioni del 2020 nonostante quel che si dice in giro”.

Non è chiaro a quale incontro faccia riferimento l’inquilino della Casa Bianca. L’ultimo faccia a faccia a Pennsylvania Avenue con l’imprenditore indiano alla guida di Google risale a marzo scorso. Per il momento il ceo non ha risposto alle accuse. Innescate con ogni probabilità da una recente puntata di una trasmissione di Fox Business, “Lou Dobbs Tonight”, dove un ex ingegnere di Google, Kevin Cernekee, accusa l’azienda di aver alterato gli algoritmi di ricerca per danneggiare Trump nelle presidenziali del 2016 e di voler “usare tutto il potere e le risorse a disposizione” per fare altrettanto nel 2020. Un portavoce del motore di ricerca ha etichettato come “assolutamente false” le insinuazioni dell’ex impiegato. Trump non è sembrato convinto. “È tutto molto illegale – ha cinguettato citando la puntata – stiamo osservando Google molto attentamente!”.

Da tempo il presidente accusa le aziende hi-tech di avere un “pregiudizio politico” contro la sua amministrazione e il Partito repubblicano. Durante il Social media summit della Casa Bianca lo scorso 11 luglio aveva puntato il dito contro “la tremenda disonestà, partigianeria, discriminazione e soppressione attuata da certe aziende”. Le voci di una interferenza di Google nelle elezioni del 2016, peraltro mai provate, erano a lungo circolate su siti e think tanks conservatori all’indomani del voto.

Il colosso di Mountain View ha peraltro ben altri problemi cui far fronte. La collaborazione con il governo cinese sta ricevendo critiche bipartisan sulla stampa americana. Google ha infatti aperto da tempo laboratori di Intelligenza Artificiale nell’ex Celeste Impero ma si è rifiutata di fare altrettanto per il Pentagono. Ad aggravare il danno di immagine negli Stati Uniti un rumoroso op-ed pubblicato sul New York Times a firma di Peter Thiel, tra i primi investitori esterni di Facebook e co-fondatore di PayPal. Il miliardario conservatore ha duramente condannato gli affari di Google con Pechino: “L’I-A. è una tecnologia militare, perché Google la condivide con la Cina, il più grande competitore strategico degli Stati Uniti?”.

Non è tutto. A fine luglio il Dipartimento di Giustizia ha annunciato un’indagine dell’antitrust contro le grandi firme dell’hi-tech. Google, Facebook, Amazon ed Apple sono in cima alla lista. Una battaglia, questa, che trova un consenso trasversale al Congresso e al Senato, con prominenti figure del Partito democratico come Elizabeth Warren e Alexandria Ocasio-Cortez in prima fila contro i “privilegi” di mercato della Silicon Valley.

Google non è dunque la sola azienda a dover fare i conti con l’assertività, e volubilità, dell’amministrazione Trump. Negli ultimi mesi è tornata l’alta tensione con gli altri grandi player del settore. Amazon è continuamente nei pensieri del presidente, complice l’aperta rivalità con il suo patron, Jeff Bezos, editore del Washington Post. L’ultimo affondo cinque giorni fa. Quando, su richiesta della Casa Bianca, il Pentagono ha sospeso un appalto da 10 miliardi di dollari vinto da Amazon per costruire il nuovo sistema Cloud della Difesa americana. Il neo-segretario Mark Esper ha spiegato che il Dipartimento sta attualmente valutando la funzionalità del programma Joint Enterprise Defence Infrastructure (Jedi), senza entrare nel dettaglio dell’inattesa sospensione.

Anche Apple naviga in acque tormentate. L’azienda di Cupertino, ha annunciato a fine luglio Trump, non sarà esentata dai nuovi, stellari dazi imposti dall’amministrazione sui beni importati dalla Cina. Da circa un anno la compagnia guidata da Tim Cook ha spostato nel Dragone la produzione di alcune parti del Mac Book Pro. Per Trump esiste una sola via d’uscita: “Producetele negli Usa e non ci saranno tariffe”.

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