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Cellula jihadista smantellata in Italia. Perché anche il nostro Paese è a rischio. Parla Ricci

Lo smantellamento di una cellula terrostica multiregionale riconducibile al gruppo al-Nusra, il fronte combattente di al-Qaeda in Siria “ci dice che siamo di fronte a un fenomeno transnazionale, organizzato, che nulla ha a che vedere, come spesso si dice erroneamente, con lupi solitari”.
A crederlo è Alessandro Ricci, esperto di jihadismo e ricercatore all’università di Tor Vergata, che in una conversazione con Formiche.net rimarca come “i servizi di sicurezza italiani si siano dimostrati, ancora una volta, all’altezza del compito”, ma che il network del terrore è attivo più che mai e “sarebbe sbagliato abbassare la guardia”. Ecco perché.

Ricci, è di oggi la notizia dello smantellamento di una cellula terrostica multiregionale riconducibile al gruppo al-Nusra, il fronte combattente di al-Qaeda in Siria. Come analizza questo episodio?

Il dato più interessante è senza dubbio la presenza di una rete forte, che aveva un radicamento importante sia in Italia sia a livello internazionale. L’indagine è partita dall’Abruzzo, ma ha trovato collegamenti in Piemonte e ha coinvolto moschee clandestine anche in Campania e Puglia. Realtà che a loro volta avevano contatti in Turchia, Germania e Siria, fino a giungere appunto ad al-Nusra, un gruppo salafita che si oppone al regime di Bashar al-Assad. È la dimostrazione che è sbagliato parlare di lupi solitari, come spesso vengono descritti. Siamo piuttosto davanti a un fenomeno ben organizzato e finanziato. I foreign fighters esistono, ma sono spesso strumenti di reti ampie e coordinate.

Quali sono le principali sfide nel contrasto al jihadismo nel nostro Paese?

In italia, così come altrove, il problema principale è la frammentarietà della rappresentanza islamica. Non c’è un centro univoco e questo determina che alcuni gruppi illegali interpretino a loro modo il messaggio del Corano. Ma, ripeto, la questione è globale.

Sbagliava, dunque, chi credeva che con la sconfitta territoriale dello Stato Islamico si fosse dato un colpo mortale a questo fenomeno?

Assolutamente. I gruppi – Isis ma non solo – sono ancora attivissimi e, per di più, in competizione tra loro. Fanno tutti parte di una mappa di collettivi radicali diffusi in Siria e altrove. Quanto allo Stato Islamico, poi, senz’altro il più noto, potremmo dire che dopo la battaglia di Baghuz del marzo scorso – che ne ha sancito lo sconfitta sul terreno – abbia cambiato pelle. È presente, ma sotto altra forma. Prima godeva di un grande radicamento territoriale. Ora è entrata in una seconda fase, inaugurata ad aprile dal video-discorso di Abu Bakr al-Baghdadi.

Che cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi mesi e anni?

Partiamo col dire che l’imprevedibilità è un’arma a favore dei gruppi jihadisti. E, se ci concentriamo sull’Isis, la citata seconda fase è stata definita da al-Baghdadi come un momento di guerra totale e globale, da combattere con ogni mezzo in 8 diversi teatri. Ed è esattamente ciò che sta accadendo. Più volte lo Stato Islamico ha fatto riferimento a attacchi per colpire i crociati, ovvero la comunità cristiana nel mondo. È di oggi la notizia di una moto bomba nelle Filippine. Tutto ciò deve indurci a non abbassare la guardia, nonostante i servizi di sicurezza italiani si siano dimostrati, ancora una volta, all’altezza del compito.

Ritiene che il rischio di attacchi sia oggi elevato anche nel nostro Paese?

Sì, lo è. Finora la capacità di dissuasione e prevenzione dell’intelligence e della polizia italiane, oltre al fatto che l’Italia viene ritenuta per la sua collocazione geografica un ‘ponte’ nel Mediterraneo verso i Paesi del centro e nord Europa, ci ha in qualche modo reso meno esposti. Ma questa strategia potrebbe cambiare da un momento all’altro e, comunque, è sempre bene tenere a mente che nella visione jihadista, tutto ciò che non è terra di Islam radicale è considerato una ‘dimora’ di guerra.


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