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Così l’accordo Cina-Santa Sede aiuta a cambiare il mondo (e la Chiesa)

Quando si parla di Cina si è soliti dire che “la Cina è vicina”. È un modo di dire abbastanza efficace per dire che la Cina ci riguarda. L’efficacia deriva dal fatto che solo quel che ci è vicino sembra riguardarci, non quello che è lontano e quindi estraneo e dunque destinato a lasciarci indifferenti. Ma la Cina, senza bisogno di avvicinarsi, è abitata dal 20% della popolazione globale. Può non riguardarci? Scoprire poi che questo 20% della popolazione del globo dispone del 7% delle terre coltivate del pianeta ci fa intendere che dovremmo dire che noi siamo vicini alla Cina, cioè che è la Cina ad avere un naturale interesse per noi, per il resto del mondo, perché ha bisogno di cibo, di prodotti. È uno dei tantissimi “fatti” emersi alla presentazione del volume curato da Agostino Giovagnoli e da Elisa Giunipero “L’accordo tra Santa Sede e Cina” (Urbaniana University Press), promossa dalla Comunità di Sant’Egidio, presieduta da Marco Impagliazzo.

I dati citati in apertura dal professor Romano Prodi hanno consentito di inquadrare l’importanza, la centralità e l’indispensabilità di questo reciproco interesse e di questa reciproca comprensione. Tempo fa, ha detto Prodi, lui scrisse un articolo intitolato “Quaranta a uno”, rapportava il costo del lavoro da noi e quello del tempo in Cina. Oggi questo rapporto è tre a uno. Non è un’altra Cina? Sembra di sì, ma Romano Prodi ha aiutato a non ridurre tutto il discorso a freddi dati quando ha fatto notare che l’accordo (provvisorio) tra Santa Sede e Cina è stato particolarmente difficile e laborioso anche perché riguarda due entità che si relazionano con l’eternità. Non sono soggetti che camminano ai ritmi imposti del web. Ma i tempi, i processi, riguardano anche loro, tantissimo, tanto è vero che Romano Prodi ha saputo rappresentare efficacemente come i processi riguardino anche l’apparentemente immutabile Cina, immobile se si riconosce il vecchio imperatore (si chiamava “figlio del cielo”) reincarnato nell’attuale segretario generale del partito, dicendo che se da noi bisogna cambiare tutto perché nulla cambi, in Cina occorre che tutti rimanga immutato per cambiare tutto.

Ed eccoci al punto: la Chiesa universale se è tale non può decidere di restare fuori da questo processo, da questo continuo processo cinese. Ma come farlo se la Chiesa si ritiene, si presenta e si definisce come Chiesa occidentale? In questo il contributo offerto da Francesco, il papa del global south, è stato determinante. Bergoglio ha accentuato la natura, l’identità, la scelta universale della Chiesa. Essere Chiesa occidentale non vuol dire esserlo soltanto in termini politici, ma anche culturali, identificando la propria cultura con quella occidentale, presentata come l’unica cultura. Ma facendo così un Paese nazionalista e non occidentale come la Cina si sentirà un nemico, per la Chiesa e quindi della Chiesa. E i cattolici cinesi? Saranno cinesi nemici della Cina? Come renderli veri cattolici e veri cinesi?

Rendere la Cina meno nazionalista non è un argomento che può essere trattato facilmente, ma sembra lecito dire che può essere fatto solo inserendo la Cina in un processo che non la prescinde, la riguarda, la comprende. Questa osservazione non l’ha fatta alcuno degli intervenuti, ma è quel che mi ha fatto pensare Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, quando ha detto che l’essenza della teoria dello scontro di civiltà di Samuel Huntington era questa: l’incompatibilità totale, la contrapposizione tra Occidente e Cina. Qui il professor Riccardi ha offerto una testimonianza di rara importanza. Quando nel 2000 Giovanni Paolo II decise di beatificare i martiri cinesi quella beatificazione venne fissata per il primo ottobre. Pranzando con il papa, Riccardi capì che in Vaticano non avevano considerato che quel giorno, il primo di ottobre, è il giorno in cui si festeggia la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese. Sembrava una sfida huntingtoniana, Riccardi ha detto che era semplicemente il frutto di una distrazione: derivata dalla non considerazione, dall’ignorare o non considerare l’altro? Scoprirlo comunque determinò l’idea di affidare proprio al professor Andrea Riccardi la stesura di un articolo che avrà contribuito a riprendere il dialogo.

Questo dialogo, ha svelato il grande protagonista di tanti anni di difficilissimo lavoro di tessitura e dialogo, monsignor Claudio Maria Celli, ha avuto un impulso importantissimo grazie a un protagonista poco ricordato, Bettino Craxi. Al viaggio cinese di Craxi, anche ambasciatore vaticano in quella circostanza, seguirono tanti incontri di cui Celli è stato protagonista. Tutto è cominciato il giorno in cui lui è andato all’ambasciata cinese a Roma. Modi felpati, eleganti, ma termini duri, scoraggianti. Monsignor Celli, grazie anche all’indirizzo e al conforto di due cardinali che ha voluto ricordare per la grandezza della loro visionarietà, Casaroli e Silvestrini, ha trovato la forza di andare avanti, è arrivato non in ambasciata, ma a Pechino. Quando monsignor Celli ha ricordato il giorno in cui fu ricevuto dal Papa, in Vaticano, un vescovo cinese che per confermare la sua fedeltà a Roma aveva scontato 38 anni di detenzione, ha aiutato a capire che o si accettava questo scontro o si riusciva a realizzare un enorme lavoro di universalizzazione della Chiesa. Un lavoro decisivo, per il mondo, per la Chiesa e per la Cina.

Padre Federico Lombardi ha iscritto pienamente e puntualmente gli anni del pontificato ratzingeriano in questo cammino e in questo processo cominciato ufficialmente con Giovanni Paolo II ma realmente molto tempo prima. Una Cina oggi delle grandi città più che delle grandi campagne. Acuto e “profondamente gesuita”, come sempre, padre Lombardi ha notato che un contributo prezioso di questo lavoro è quello di saper aiutare a leggere il complesso processo del negoziato tra Cina e Santa Sede soffermandosi non solo sui deficit cinesi, ma anche su quelli vaticani. Infatti il volume curato da Giovagnoli e Giunipiero è fatto da testi scritti non solo da studiosi europei, ma anche cinesi. Per un volume che vuole aiutare a capire un processo destinato a cancellare la scorciatoia esiziale dello scontro di civiltà era una scelta decisiva.



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