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La Cina alla carica per corteggiare Di Maio (c’entra Huawei?)

La Cina è su Di Maio. Il leader grillino appena entrato alla Farnesina col Conte-2, è da due giorni oggetto di un forcing politico-diplomatico mosso da Pechino. Oggi, l’ambasciata cinese in Italia fa sapere attraverso una nota che il 5 settembre (ossia ieri) il Consigliere di Stato e Ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha inviato “un messaggio augurale” al suo omologo italiano Luigi Di Maio, esprimendogli “un alto apprezzamento per il suo contributo allo sviluppo delle relazioni bilaterali”.

L’ambasciata, che da inizio luglio è guidata dall’assertiva feluca Li Junhua (già protagonista di uno show anti-americano sul tema Hong Kong), fa sapere che il ministro cinese è “disposto a lavorare insieme con Di Maio” e “a intensificare le consultazioni e sinergie tra i due ministeri, promuovendo in continuazione nuovi progressi del Partenariato Strategico Globale tra Cina e Italia”. Il messaggio è piuttosto canonico, è il classico saluto a un nuovo collega, se non fosse che il contesto attorno lo fa diventare piuttosto interessante.

Il benvenuto della sede diplomatica italiana segue infatti di poche ore un articolo uscito sulla cinese Xinhua in cui il ministro Di Maio veniva praticamente insultato per la scarsa preparazione (“non è laureato”) e per le scarse conoscenze linguistiche e competenze nel campo degli affari internazionali. Parole che s’erano portate dietro diverse polemiche, al punto che dopo la pubblicazione in mattinata (ora italiana), nel pomeriggio l’articolo è stato editato eliminando l’intero paragrafo in cui si parlava di Di Maio.

Non è chiaro cosa sia successo, ossia perché il pezzo abbia ricevuto prima l’approvazione per la pubblicazione – forse doveva contenere un messaggio? – e perché poi sia arrivato l’ordine di ritirare l’analisi severa cinese sul conto dell’ex vice-premier italiano. Forse c’entra il primo passo deciso dal Conte 2, ossia l’uso dei poteri speciali su alcune delle notifiche presentate da Fastweb, Linkem, Tim, Vodafone e Wind in relazione ai contratti di fornitura stipulati con fornitori di tecnologia 5G, tra i quali figurano anche le cinesi Huawei e Zte?

Oggi l’ambasciata – diffondendo l’augurio del ministro Wang di ieri – è sembrata impegnata a recuperare terreno, pensando anche al futuro. Ma ha anche parlato di reciprocità, ossia una sorta di richiamo a potenziali ritorsioni, per il business in Cina, se Roma prende decisioni troppo dure sulle gare cinesi in corso in Italia.

L’impulso per applicare l’esercizio dei poteri speciali su Huawei e Zte è partito proprio dal MiSE, che nel Conte 2 è guidato al collega di partito grillino Stefano Patuanelli, ma prima era sotto le direttive di Di Maio ed è stato il centro di comando per l’adesione italiana alla Belt & Road Initiative, l’infrastruttura geopolitica con cui Pechino intende collegarsi all’Europa.

Non solo: con Di Maio e con il suo sottosegretario leghista, il vero china-man italiano, il MiSE aveva creato la Task Force Cina, centro dialogo con Pechino un po’ spennacchiato e con incedere lento e burocraticizzato. Non solo, il partito guidato da Di Maio aveva aperto le porte della Camera a Huawei, ospitando il gigante delle telco cinese a eventi di gala in cui il soft power si sovrapponeva tosto con la penetrazione politica e gli appalti pubblici.

Il cuore del contatto tra Pechino e Roma è stato a Via Veneto, proprio davanti alla diplomazia americana di Villa Taverna. Un collegamento che ha un profondo valore politico per i cinesi e che è stato molto criticato da Europa e Stati Uniti. La Cina ha interesse a mantenere aperto il contatto con l’Italia, ma probabilmente vuole anche mettere sotto pressione alcune degli elementi del nuovo governo, a cominciare da Di Maio, che guidava la parte di governo gialloverde più aperta verso il Dragone.

Intanto esce una voce dalla Farnesina: fonti fanno sapere al giornalista Francesco Maselli che Ettore Sequi, attuale ambasciatore a Pechino, sarà il nuovo capo di gabinetto del ministro degli Esteri. Sequi è uno degli uomini che più ha lavorato per l’adesione italiana alla Nuova Via della Seta. Possibile che alla Farnesina resti anche il sottosegretario Manlio Di Stefano, considerato il china-man del M5S (due mesi fa, in visita, a Hong Kong, derubricò le proteste storiche a questione di ordine pubblico senza prendere nessuna posizione sulla situazione generale che ha mosso migliaia di manifestanti contro la cinesizzazione dell’ex colonia britannica).

 

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