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Dal risotto di D’Alema all’hamburger di Conte. Il binomio tra cibo e politica

In principio fu il risotto di Massimo D’Alema, cucinato a favore di telecamera nel salotto televisivo di Porta a Porta di Bruno Vespa. Un piatto caldo, preparato con cura, a voler avvicinare il politico algido al pubblico che lo guardava nel tepore delle proprie case. Poi vennero le doppie margherite, i gelati e i pop-corn di Renzi, che hanno accompagnato l’inizio e la fine della fase politica della rottamazione di Renzi. Cibo sincopato, cotto da altri e mangiato dal leader auto-indulgente della generazione X. Venne poi il momento dell’esibizione del cibo da parte di Matteo Salvini: ogni tipologia di comfort food e drink, un invito alla concessione dello strappo alla regola (specie a quella del digiuno notturno) diffuso sui social e impiegato come parametro livellatore tra leader e base elettorale, sulla scorta dell’assunto “lui è come noi”.

Da ultimo è arrivato l’hamburger notturno a New York del premier Conte, impegnato nei lavori dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: più un sorriso che un morso a favore di telecamera, in una location che più newyorkese non poteva apparire: effetto notte, grattacieli illuminati, primo piano al leader in maniche di camicia e panino di dimensioni ragguardevoli, in puro stile americano. Perché questa fotografia ha colpito tanto l’immaginario, così da essere commentata, ripresa, trasformata in meme per tutto il giorno successivo sui social? Il cibo è da sempre un vettore di significati primitivi per l’essere umano. Consumare un pasto è una funzione di salute, prima ancora che momento sociale.

La condivisione del cibo viene considerata come un momento particolare della vita umana: dal primo nutrimento materno alla preparazione e condivisione romantica di pasti in coppia, alla funzione nutrizionale dedicata ai propri cari. La foto prende una figura che siamo abituati a vedere sempre impeccabile nel vestiario e negli atteggiamenti, coinvolta in funzioni istituzionali “alte” e la pone in un contesto eccezionale (la notte a Nyc) colta nel momento di soddisfare il bisogno di nutrirsi, addirittura mangiando con le mani. Insomma, metaforicamente, il re, che siamo abituati a vedere in giacca, cravatta e pochette, è nudo e si manifesta umano, troppo umano nel soddisfacimento di uno dei bisogni essenziali della piramide di Maslow: mangiare dopo una lunga giornata di lavoro.

Il paradigma comunicativo dietro alla diffusione dell’immagine di Conte con l’hamburger è quello di restituire (al popolo?) l’immagine di un leader “vero” e “vicino” alla gente, distante dall’immagine paludata di avvocato, professore universitario e consulente giuridico. Via la cravatta, via la giacca, via la pochette, accessori destinati alle interminabili sessioni di lavoro istituzionale; su le maniche, come tutti dopo una giornata molto lunga, e via con la gratificazione più elementare e condivisibile: il fast food, il cibo senza orpelli (stelle e servizio), quello che tutti possiamo concederci. Una sublimazione del cibo accessibile a tutti, il simbolo di una conquista, tutta politica questa, di una America da mordere a bocconi nella notte. Domani è un altro giorno e la pochette è di nuovo pronta all’uso per il professore che scese tra la gente.


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