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Dossier Libia in movimento. L’Italia torni in gioco. L’analisi di Varvelli

“Per quanto vedo, sembra che la fase preparativa dell’Assemblea generale della Nazioni Unite abbia alzato l’interesse sulla Libia, che è uno dei grandi dossier internazionali su cui svariati attori esterni cercano un posizionamento”, spiega così Arturo Varvelli – Co-Head del Mena Center (Nord Africa) dell’Ispi – la serie di movimenti di carattere diplomatico attorno alla guerra civile innescata dall’attacco a Tripoli tentato dall’autoproclamato Feldmaresciallo della Cirenaica, Khalifa Haftar.

Nelle ultime settimane, si è assistito all’aumento dell’attività da parte degli Stati Uniti, che hanno nominato un nuovo e dinamico ambasciatore, ma anche a dichiarazioni non troppo usuali di Cina e Russia, così come ultimamente a una presa di posizione tedesca sull’onda di uno interessamento partito già dalla primavera. Invece l’Italia sembra abbia dimenticato il dossier, su cui rivendicava un ruolo da “cabina di regia”.

“L’Italia, complice anche la crisi di governo, ha perso tempo e spazi. A quello che vedo, il nuovo ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, non mi pare che abbia grandi ambizioni sull’argomento, e dunque immagino che anche con il nuovo esecutivo lo schema sarà quello di affidare l’iniziativa diplomatica alla Farnesina, lasciando invece il pallino politico in mano al premier Giuseppe Conte“.

Ma cosa dovrebbe fare Roma? Forse le ragioni di quanto stiamo osservando sono anche collegate a un’indecisione italiana? Intendo le posizioni secondo cui Haftar è stato considerato “un interlocutore”; i suoi bombardamenti su Misurata, a pochi passi dal nostro ospedale militare, che sono stati quasi giustificati, l’assenza di un’affermazione di campo netto a favore del governo onusiano aggredito a Tripoli… “Certamente, se vogliamo avere un ruolo non possiamo pensare di mettere sempre i piedi in due scarpe. Magari possiamo essere quelli che tengono la barra dritta e che fanno a volte delle concessioni, ma se partiamo facendo subito concessioni a lasciando passare l’idea che possiamo stare con chiunque ci porti interesse, allora partiamo deboli”.

Con Fayez Serraj, dunque? “Serraj guida il progetto dell’Onu, ma non è detto che non sia arrivato al capolinea. C’è un background italiano che vede nell’attuale ministro degli Interni onusiano, Fathi Bashaga, un’ottima alternativa. E permetterebbe di recuperare terreno con Misurata (la potente città che garantisce la sicurezza di Tripoli, ndr)”.

C’è qualcosa in atto, però, con cui l’Italia potrebbe riprendere campo? “Si sa che l’Italia sta lavorando con la Francia per un’iniziativa diplomatica congiunta, ed è un lavoro partito già da quest’estate e dunque dal governo precedente. Però quasi sicuramente sarà qualcosa al ribasso, perché i francesi ancora non vogliono condannare del tutto Haftar”.

Varvelli spiega a Formiche.net che però è tutto piuttosto appeso a un primo passaggio, quello dell’assise Onu, e poi all’inizio dell’attività reale della nuova Commissione europea – e per l’Italia dall’avvio delle attività del nuovo governo. “Se ci sarà allineamento, magari con il coinvolgimento di elementi nuovi come lo spagnolo Josep Borrel (il Pesc, ndr) allora potrebbe ripartire qualcosa con maggiore fantasia e spinta”.

E gli Stati Uniti? “Diciamo che da un po’ di tempo sembra che il dipartimento di Stato abbia preso in mano la gestione del dossier, e la partenza del Consigliere Bolton pure su questo potrebbe avere effetti. Vediamo anche che il nuovo ambasciatore è più attivo, secondo una linea più classica che potrebbe rafforzare il Gna”, acronimo inglese con cui si indica il governo onusiano.

“Tra l’altro – aggiunge Varvelli – sono tornato da pochi giorni da Mosca, dove ho avuto occasione di confrontarmi con analisti di qualità, e ho constatato che sull’argomento Libia l’atteggiamento sta cambiando. Prima i russi erano costantemente impegnati a parlare di un’Astana per la Libia (Astana è il processo politico che la Russia s’è intestata sulla Siria in alternativa all’Onu, ndr), ma adesso si sentono meno coinvolti: dicono che non hanno interesse a essere egemonici, che vogliono dosare le risorse e non possono coprire tutto”.

“So che stanno dialogando con gli Stati Uniti – spiega l’analista italiano – ed è comprensibile che essere abbinati ad Haftar li ha fatti sentire troppo nel dossier, soprattutto davanti a un’iniziativa che sul campo stenta, questo potrebbe tradursi in un quadro negativo per il Feldmaresciallo”. Ossia? “Se le grandi potenze chiedono un rinnovato processo di pace, e se come sta succedendo Haftar non avanza sul terreno, anzi rischia di perdere del tutto la presa sull’attacco a Tripoli, allora anche i paesi che lo sostengono potrebbero in qualche modo allentare il loro impegno”.

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