La cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha fatto una inusuale dichiarazione sulla Libia (“inusuale” perché di solito Berlino non è così tanto visibile sulla crisi). “La Germania farà la sua parte per evitare che scoppi una guerra per procura in Libia” ha detto Merkel parlando alla camera bassa del Bundestag, ammonendo che la situazione nel Paese nordafricano rischia di destabilizzare l’intero continente africano, dove i tedeschi invece hanno piazzato una fitta serie di interessi.
“In Libia si sta sviluppando una situazione che può assumere dimensioni simili a quelle che abbiamo visto in Siria. È indispensabile fare tutto il possibile per assicurarci che non si trasformi in una guerra per procura”. Merkel parla di una realtà di fatto: la Libia è ancora divisa tra Est e Ovest, Cirenaica e Tripolitania, e le due fazioni geografiche hanno alle spalle un sostegno politico dall’esterno, che si traduce in aiuti militari. Con i primi si schierano Emirati Arabi ed Egitto, con gli altri Turchia e Qatar, in un confronto che spacca l’Islam sunnita e marca le distanze tra le diverse interpretazioni del mondo.
C’è un’interessante sovrapposizione: qualche giorno fa, anche dalla Russia era arrivato un monito simile, quando l’ambasciatore alle Nazioni Unite aveva definito la situazione libica peggiore di quella in Siria. Berlino e Mosca usano casualmente gli stessi vettori reterico-diplomatici o c’è da leggere dietro una qualche genere di allineamento? (I più velenosi potrebbero insinuare che siamo già davanti agli effetti del link del gas, Nord Stream mood, ma con ogni probabilità si tratta solo di una coincidenza).
Tuttavia, questo genere di presenza, vocale, diplomatica è un elemento da tenere in primo piano, perché attorno alla guerra civile innescata cinque mesi fa dal tentato scacco a Tripoli del signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar, si sta iniziando a muovere un rinnovato sforzo negoziale.
Nelle ultime settimane, il nuovo ambasciatore americano Richard Norland (seppure ancora a Tunisi per ragioni di sicurezza: per gli americani il caso Stephens è una ferita ancora aperta) ha avviato le sue attività in modo piuttosto proattivo. Contemporaneamente anche la Cina ha spostato l’attenzione sulla situazione libica, e anche Pechino – come la Russia – lo ha fatto attraverso un delegato alle Nazioni Unite (il vice ambasciatore).
Il fatto che queste quattro grandi potenze (Usa, Cina, Russia e Germania) si muovano attorno al dossier Libia – con un interesse più ampio, di livello regionale – dovrebbe essere un indicatore importante per il nuovo governo italiano. Roma sulla Libia ha un vantaggio nei fatti (collegamenti, contatti, presenza), ma negli ultimi mesi ha perso terreno anche per un’azione che è sembrata meno decisa.
Ora che il nuovo ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha detto di voler concentrare sull’Africa un asset importante della proiezione internazionale italiana, diventa fondamentale recuperare il tempo e gli spazi perduti anche sulla Libia, come ha evidenziato su queste colonne l’ambasciatore Giampiero Massolo.