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La Cina si prende la Borsa. Ecco il primo caso di interesse europeo. Parla Sapelli

Il possibile acquisto della City londinese (che controlla anche Piazza Affari e la piattaforma del mercato dei titoli di Stato, Mts) da parte della Borsa di Hong Kong “dovrebbe spingere l’Europa intera – e non solo il governo italiano con il Golden Power – a intervenire per evitare che ciò accada”.
A crederlo è lo storico e saggista Giulio Sapelli, che in una conversazione con Formiche.net analizza l’avanzata di Pechino in Occidente e gli effetti geopolitici che una sua penetrazione in ambito finanziario comporterebbe per l’intera regione.

Professor Sapelli, è di queste ore la notizia del tentativo da parte della Borsa di Hong Kong di acquisire la City di Londra. Che cosa significa in termini geopolitici?

A mio avviso questo episodio ci fa capire molto della Cina di oggi, forse più di quel che accade al suo interno che non della sua strategia oltreconfine. Pechino è in un periodo di crisi che non è economica, ma istituzionale. C’è un conflitto latente tra ricca borghesia e partito comunista, che è sul punto di scoppiare. E l’offerta di Hong Kong a Londra – capitale il cui peso nelle dinamiche mondiali è stato sottovalutato – ne è una manifestazione.

Perché?

Perché la finanza cinese cerca di allargare il proprio perimetro d’azione in risposta all’asfissiante controllo del partito. Il governo ha concesso piccole aperture, ma evidentemente non vengono ritenute sufficienti e quindi si guarda altrove, sebbene la piazza di Hong Kong goda comunque di libertà nella gestione dei capitali che non conoscono paragoni nella Cina popolare. D’altro canto non è detto che Pechino osteggi questa operazione, perché sarebbe un ulteriore tassello nel mosaico dei suoi piani espansionistici.

Un’operazione, questa, che avrebbe riflessi anche sull’Italia, dal momento che London Stock Exchange controlla anche Piazza Affari.

Sì, e sarebbe da evitare. Costituirebbe un ulteriore passo nella penetrazione geostrategica e geopolitica della Cina in Europa attraverso l’Italia. Un piano che è iniziato dai porti e dalla nuova Via della Seta, per andare all’assalto di posizioni internazionali come la guida della Fao, allargarsi alle comunicazioni come il 5G e che ora potrebbe sfociare anche nell’ambito finanziario.

Che riflessi avrebbe tutto ciò?

Diventeremmo un ponte cinese tra il Vecchio Continente e l’Africa, dove Pechino è attivissima. E i cinesi hanno capito che questo è il momento per colpire, perché l’Europa e soprattutto la sua periferia – anche una non secondaria come l’Italia – sono in crisi. Mentre gli Stati Uniti – alleati ai quali dovremmo restare ben ancorati – non sembrano però troppo decisi a colmare questo vuoto. Ma sarebbe un errore enorme consentire a un regime dittatoriale come quello cinese ciò che non è mai stato lontanamente consentito all’Unione Sovietica. Non possono essere solo i mercati a determinare gli affari, c’è un elemento etico che dobbiamo continuare a salvaguardare.

Il governo italiano dovrebbe ricorrere ai poteri speciali di veto concessi dal Golden Power – dei quali pare si stia discutendo – per fermare un’acquisizione di questo tipo?

Sarebbe auspicabile che lo facesse, ma io credo che un veto di questo tipo dovrebbe giungere ancora prima dall’Europa. Il problema, infatti, non è italiano, ma europeo. A preoccupare non è tanto l’eventuale controllo della Borsa, ma quello della piattaforma del mercato dei titoli di Stato, Mts. Attraverso di essa, la Cina potrebbe mettere le mani sullo strumento che finanzia il nostro debito pubblico. E dunque entrerebbe nelle dinamiche e nelle decisioni della Banca Centrale Europea. Questo credo che debba interessare non solo Roma e forse questa è la prima volta nella quale si manifesta in modo chiaro un interesse europeo. Che va difeso.


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