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L’Intelligence accusa Trump. Ora l’impeachment è più vicino

Oggi il Direttore della National Intelligence facente funzione, il capo di tutte le agenzie di servizi segreti statunitensi Joseph Maguire, è andato alla Commissione Intelligence della Camera per testimoniare sul cosiddetto whistleblower complaint, ossia la denuncia di un agente che ha dato il via alla richiesta di impeachment contro il presidente Donald Trump. Contemporaneamente, quella stessa commissione ha diffuso il contenuto di quella denuncia, che riguarda la telefonata (avvenuta il 25 luglio dalla Situation Room della Casa Bianca) tra Trump e l’omologo ucraino, Volodymyr Zelensky. Conversazione in cui l’americano avrebbe abusato del suo potere nella richiesta avanzata a Kiev di aprire un’indagine contro il contender democratico Joe Biden, accusato vagamente di un caso di presunta corruzione in cui era coinvolto il figlio.

Secondo quanto dicono alcuni media americani, Maguire ha minacciato l’amministrazione – ossia lo Studio Ovale perché un funzionario di così alto rango si relaziona direttamente col presidente – che si sarebbe ritirato dall’incarico ricevuto (e non ancora formalizzato) se non fosse stata data autorizzazione di diffondere quel documento, sebbene con molti omissis, in possesso della Commissione. Ieri, una sintesi della conversazione tra Trump e Zelensky era stata diffusa ieri dalla Casa Bianca – ed era già abbastanza imbarazzante – ma quello che esce oggi per certi versi peggiora le cose.

Maguire dice ai parlamentari che lo hanno interrogato che chi ha presentato la denuncia “ha agito in buona fede” e che il caso è “unico e senza precedenti” – “Credo che proprio tutta questa materia sia senza precedenti”, precisa, ed diventa ancora più chiaro perché quelle anomalie hanno portato il funzionario che le aveva captate a fare rapporto immediato e i Democratici a provarci con l’impeachment. Maguire stesso è finito sotto pressione, perché – sebbene il ruolo del suo incarico sia tra le varie cose prevenire eventuali interferenze elettorali – ha tardato a condividere con il Congresso quanto aveva ricevuto dal suo sottoposto. Il Dni s’è difeso dicendo che era stato consigliato dal team legale del dipartimento di Giustizia sul fatto che non c’era obbligo di parlare con i legislatori, sebbene l’ispettore generale dell’Intelligence non sia stato dello stesso parere e abbia poi passato le carte alla commissione.

Riguardo al documento pubblicato dalla Camera, il testo in cui il funzionario spiega la sua denuncia, la parte che salta subito all’occhio è quella in cui la Casa Bianca viene accusata di “lock down” sulla registrazione della conversazione. Ossia la presidenza avrebbe cercato di blindarne la diffusione – perché evidentemente i funzionari attorno a Trump, una decina presenti durante la telefonata, avevano intuito che un presidente che chiede a un leader politico di un altro paese di fargli “un favore” infangando un concorrente politico interno in cambio dell’invio di una fornitura di missili Javelin, che gli ucraini avrebbero dovuto usare contro gli aggressori filo-russi nel Donbas, non era il massimo. “Queste azioni mi hanno portato a pensare che quei funzionari fossero a conoscenza della gravità della telefonata”, dice il funzionario nella sua denuncia.

“Mentre svolgevo il mio incarico”, riporta il verbale, “sono stato informato da diversi funzionari governativi che il presidente degli Stati Uniti sta[va] usando i suoi poteri istituzionali per sollecitare l’intervento di un paese straniero nelle elezioni statunitensi del 2020. Questa interferenza include, tra le altre cose, pressioni verso un paese straniero affinché indaghi su uno dei principali avversari politici del presidente. L’avvocato personale del presidente, Rudolph Giuliani, è al centro di questi sforzi. Anche il procuratore generale William Barr ha un ruolo”. È una potenziale bomba, in effetti un caso senza precedenti per dirla come Maguire.

Il funzionario dei servizi spiega di essere “profondamente preoccupato” e di di temere che certe azioni costituiscano un “serio o flagrante problema, abuso o violazione della legge o di un ordine esecutivo” e che “non riguardino differenze di opinioni politiche”, come da definizione della “preoccupazione urgente” prevista dalla legge. Per questo aggiunge che “è mio dovere denunciare quanto in mia conoscenza attraverso i canali legali appropriati”. Poi spiega chiaro e tondo il motivo: “Credo anche che queste azioni mettano a rischio la sicurezza nazionale statunitense e compromettano gli sforzi del governo per scoraggiare le interferenze straniere nei processi elettorali” – chiaro richiamo a quanto successo con il piano russo alle presidenziali del 2016.

Per il momento, come spiegato su queste colonne dal professor Mario Del Pero, ci sono tutti i presupposti “fumanti” per creare “una slavina” attorno a Trump. Il resto seguirà con le successive evoluzioni, testimonianze già calendarizzate dalle commissioni congressuali e future potenziali novità. Soprattutto, si verificherà il loro peso su un’opinione pubblica che è rimasta piuttosto fredda davanti a questo nuovo scandalo trumpiano.

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