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Il governo è fatto, ora è tempo di pensare al Pil. Pro-memoria dell’Istat

Ancora grande freddo sull’industria italiana. Proprio mentre il governo Conte 2 sta per incassare la fiducia al Senato (dal quale emergerà l’effettiva capacità di resistenza dell’esecutivo al fuoco delle opposizioni), dopo il via libera di ieri alla Camera. Secondo le cifre diffuse dall’Istat a luglio, per il secondo mese consecutivo, si è registrata una flessione congiunturale della produzione industriale. L’indice destagionalizzato della produzione industriale è infatti diminuito dello 0,7% rispetto a giugno. Corretto per gli effetti di calendario, a luglio 2019 l’indice complessivo è sceso in termini tendenziali dello 0,7%.

Insomma, ancora un sintomo della grande fragilità che caratterizza la nostra economia. Certo, la Germania, il nostro sbocco naturale in termini di export, ha il fiato corto e la recessione è sempre in agguato. E se i tedeschi acquistano meno i nostri beni, cala di conseguenza anche la produzione. Proprio pochi giorni fa era stato il Centro studi di Confindustria a lanciare l’allarme (qui l’articolo) al nascituro esecutivo, parlando di economia in conclamata stagnazione. Ora l’Istat ricorda al premier Giuseppe Conte e ai suoi ministri che c’è un Pil disperso da qualche parte e che va assolutamente intercettato.

Il dato di luglio è comunque stato sicuramente influenzato dal pessimo andamento dell’automotive, che ha visto la produzione di veicoli crollare del 14% rispetto allo stesso mese dell’anno prima. A questo punto, l’Unione nazionale dei consumatori ha parlato di “Caporetto dell’economia italiana” citando la rovinosa sconfitta militare del 1917, con la manovra alle porte diventa ancora più urgente trovare i denari (servono 23 miliardi) necessari a disinnescare l’Iva. Compito non facile anche se nel governo un’idea ce l’avrebbero: utilizzare i soldi risparmiati nella spesa per gli interessi pagati sulle emissioni di debito sovrano.

Lo spread a 150 punti base (due mesi fa era a 300), farà risparmiare secondo alcuni calcoli di Confindustria citati da Repubblica, 3 miliardi nel 2019 e 6,8 il prossimo anno. Volendo fare cifra tonda sarebbero 10 miliardi. Meno della metà di quelli che servirebbero per l’Iva, ma almeno è un inizio. Non è tutto. L’altra idea, sulla quale preme il premier Conte, sarebbe l’utilizzo di questi risparmi per finanziare l’abbassamento del debito. L’operazione, avrebbe anche il suo senso: se la nostra esposizione (poco meno di 2.400 miliardi, una volta e mezzo il nostro Pil) iniziasse davvero a diminuire, l’Europa potrebbe darci sulla buona parola più spazio sul deficit, il che produrrebbe a sua volta quelle risorse da girare sull’Iva. Si vedrà.

 

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