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La corsa al centro? Una caricatura. Il commento di Reina

Una certa stampa maliziosamente interessata e chiaramente faziosa insiste nel descrivere una confusa corsa al centro di alcuni esponenti politici, con l’intenzione di far saltare il banco del governo giallorosso, per sostituirlo con un riverniciato centrodestra a guida Salvini, che riporterebbe in auge arrugginiti arnesi depositati nello sgabuzzino dei ferri vecchi. Tesi, quindi, del tutto fantasiosa e strampalata. A prescindere che il Centro in Italia non è stato mai un luogo geometrico, bensì una politica in grado di portare a nuova sintesi i vari interessi della gente, guardando a quello generale presente nella società. Non a caso il Centro è stato sempre pluralista e interclassista.

Oggi non esistono cosiddetti partiti o esponenti politici caratterizzati da una fisionomia centrista, perché tutti privi di una cultura e di una visione di paese con tale peculiarità e prospettiva. La Dc dopo, ma soprattutto il Partito Popolare italiano di don Sturzo prima si collocarono al centro dello schieramento politico nazionale non perché scelti con prepotenza a stare in quel ruolo ideale. Erano le politiche elaborate, attuate, realizzate dai due partiti di centro a spingere verso crescita, sviluppo, benessere per il Paese, finalizzate alla costruzione di condizioni di bene comune per tutti.

Il loro stare al centro significava ripudiare le dottrine comuniste, fasciste e nazifasciste. Sturzo sapeva come muoversi nel groviglio della politica di partiti e partitini nell’immediato dopo guerra del 1915/18: organizzare un partito di ispirazione cristiana sul modello dei partiti di “centro”, nati in Europa nel XIX secolo: il Zentrum dell’Impero germanico al Reichstag e quello irlandese alla House of Commons. Questi partiti senza partecipare alle attività di governo costrinsero personalità di notevole forza politica della Germania e dell’Inghilterra ad accettarne posizioni e proposte e furono vittoriosi nelle storiche lotte del Kulturkampf, e per la libertà dell’Irlanda.

Le stesse posizioni furono tenute da Sturzo dal 1899 al 1904 nel consiglio comunale di Caltagirone dove si allenò, al punto di conquistare nelle elezioni del 1905 con le sole forze nascenti della democrazia cristiana una maggioranza tale che gli consentì di amministrare, come sindaco, per cinque anni interi. E con lo stesso spirito fondò il partito popolare italiano nel 1919, partito di centro, con la prospettiva di tenerlo fuori dai giochi di governo perché non esistevano condizioni concrete e reali di partecipazione agli esecutivi. La situazione parlamentare nei primi sei mesi del 1920 si presentò abbastanza confusa, al punto da non riuscire a trovare un equilibrio stabile.

Il gruppo parlamentare dei popolari fatto di 100 deputati dovette cambiare atteggiamento, perché i liberali erano divisi al loro interno e non riuscivano a contrastare la destra e la sinistra, né erano in grado di garantire l’ordine pubblico, messo in forse dai ricorrenti scioperi e dalle azioni di movimenti sovversivi. Fu necessario perciò assumere il ruolo di “partito di rincalzo”, senza alcun peso direttivo nell’esecutivo. Tutto ciò avveniva nel superiore interesse della Nazione e non per aumentare i consensi personali o di partito. La intransigenza e il concetto di moralità nella vita pubblica di Sturzo mai avrebbero consentito operazioni clientelari e trasformistiche.

Un dato incontrovertibile lo testimonia: di fronte al fascismo di Mussolini accettò con dolore, su richiesta del Vaticano, la via dell’esilio, pur di evitare di sottoscrivere transazioni con il regime fascista. Fanno perciò sorridere alcune tesi caricaturali su una fantasiosa corsa al “centro” di certi esponenti o partiti politici, raccontata da una stampa spasmodicamente interessata, invece, al ritorno di un regime forte e scarsamente democratico.

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