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Europee, la (vera) sconfitta di Salvini. Antonio Palmieri (FI) spiega la crisi

Salvini in giro per comizi, Conte per vertici europei. Questo in sintesi il quadro dei players di questa crisi che affiora conversando con Antonio Palmieri, deputato e responsabile digitale e della comunicazione elettorale di Forza Italia – dal 1993 ha lavorato con ruoli di responsabilità alle campagne elettorali nazionali del partito – secondo cui mentre il leghista si è preoccupato di riempire le piazze elettorali, il premier ha riempito di contenuti il suo know how di politica estera.

La retromarcia di Di Maio è più un elemento di tattica politica o di schizofrenia comunicativa?

Sarebbe augurabile per tutti che fosse tattica e non schizofrenia, altrimenti vorrebbe dire che il partito di maggioranza relativa è guidato in modo “folle”.

Crede che sia un potenziale danno per il suo elettorato o quantomeno anche per chi stava credendo ad una svolta in questa crisi?

Da sempre ognuno ha necessità di parlare in primo luogo al proprio elettorato e, di conseguenza, in questo momento ciò vale sia per il Pd che per il M5s. Quindi l’irrigidimento può essere valutato in questa chiave. Di Maio vuole far percepire ai propri elettori che non è un contraente dimezzato nel nuovo governo ma il leader della forza di maggioranza relativa, impegnato in una trattativa non da perdente.

Ma così ha rimesso in pista i due amici/nemici, Salvini e Di Battista?

Credo che fino a mercoledì prossimo ne vedremo di tutti i colori, perché è inevitabile che sia così, stante l’anomalia della genesi di questo futuro possibile nuovo governo; sotto certi aspetti è dunque inutile “inseguire” il balletto delle dichiarazioni che sono frutto di tattiche, dietro le quali non sappiamo realmente cosa stia accadendo. In questo momento predomina la messa in scena e dobbiamo abituarci a convivere con essa almeno per altri tre giorni, così come abbiamo convissuto con ciò che è accaduto prima. Non dimentichiamoci che in questo tormentato agosto ogni giorno si aprivano molteplici scenari, finché si è arrivati al punto di caduta, con l’incarico a Conte.

Guardando all’evoluzione degli ultimi mesi del premier Conte, crede abbia anche mutato la propria postura comunicativa nei vertici europei?

Dal momento che realtà e contenuti vengono prima della comunicazione, credo che la postura di Conte sia l’esito di una presa d’atto da parte sua della possibilità di giocare un ruolo diverso da quello di vice dei suoi vice premier. In particolare, lui ha compreso che la politica estera gli consentiva di trovare uno spazio di autonomia che i due vicepremier gli negavano in patria. Quindi Conte è stato abile a ritagliarsi questo spazio e a compendere che, nell’era globale in cui viviamo, la politica estera è a pieno titolo politica interna. I suoi vicepremier non l’hanno compreso.

Vede affinità in questo senso con i primi passi in politica estera di Berlusconi premier?

Il paragone è impossibile. Erano gli altri leader che manifestavano la curiosità di conoscere e incontrare Berlusconi, che era un personaggio noto in tutto il mondo a prescindere dalla politica. E, con tutto il rispetto per Conte, non era un signor nessuno dal punto di vista della notorietà nazionale ed internazionale. Al netto quindi di una partenza totalmente diversa rispetto a quella di Conte, c’è un elemento di affinità: la comprensione che un buon rapporto personale è base di partenza per raggiungere buoni accordi di natura politica.

In Europa e negli Usa non hanno compreso né gradito gli atteggiamenti di Salvini: è stato anche questo elemento a far detonare una maggiore instabilità, personale prima che politica?

Propongo due elementi utili a comprendere ciò che è accaduto. Il primo: Salvini ha svolto una ininterrotta campagna elettorale permanente, anche dovuta al fatto che abbiamo avuto dal marzo 2018 ad oggi numerose elezioni regionali, ciascuna delle quali con la propria importanza politica nazionale, così come a breve avremo altre regionali di una discreta importanza, in Umbria, Calabria ed Emilia Romagna. Il secondo: Salvini ha anche immaginato di poter scardinare equilibri consolidati in Europa attraverso i risultati delle europee. Ha scommesso sulla vittoria della “internazionale sovranista” e si è invece trovato con un insuccesso politico tra le mani, nonostante il grande successo ottenuto in Italia.

Qualcuno sta rimpiangendo il piglio di Napolitano…

Ogni Presidente della Repubblica interpreta il proprio ruolo in base alla propria cultura politica e alla propria indole. È evidente che è preferibile un Capo dello Stato che non sia attore politico, come lo fu Napolitano contro i governi Berlusconi. Il presidente Mattarella si sta caratterizzando come un operoso guardiano della Costituzione. Un arbitro che non è un giocatore. Come aveva promesso nel suo discorso di insediamento alla Camera.

twitter@FDepalo

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