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La Pontida di Salvini, ovvero popolo contro potere. Il commento del prof. Ippolito

L’appuntamento annuale della Lega a Pontida, celebrato ieri, è stato il primo incontro complessivo di Matteo Salvini con i suoi militanti, dopo la fine della breve esperienza di Governo con i 5 Stelle. L’obiettivo di avere una conferma del proprio consenso ha sortito il suo primo grande risultato. L’affluenza è stata più del doppio degli anni precedenti, e la folla di tutta Italia lo ha atteso osannante.

La sua guida politica è apparsa lucida ed efficace, come ormai avviene di consueto, suggellata da un bagno di entusiasmo che pochi politici possono vantare oggi, una festa all’insegna della memoria e della tradizione di un partito importante e di lungo corso, aperto tuttavia alla prospettiva del futuro con slancio e dinamicità.

Il primo dato importante è la credibilità che i militanti hanno mostrato di comprendere sulla scelta ardua di abbandonare la maggioranza, passando all’opposizione, e sull’alternativa al modello burocratico e gestionale dei suoi antagonisti di ieri e di oggi, materialmente confluiti nel Governo Giallo-Rosso.

Particolarmente rilevanti sono stati gli interventi degli amministratori locali, sindaci e governatori, oltre alla presentazione dei senatori e dei deputati, condotti dai due brillanti ed intelligenti capigruppo.

Prima che Salvini parlasse, il paradigma politico della Lega era già dato, consistente e palese: politica significa rappresentanza, e rappresentanza vuol dire essere legati a doppio filo con la propria gente, con i cittadini presenti nel territorio, di cui i sindaci e i presidenti di regione sono responsabili custodi.

Anche a chi non conosce dal di dentro la logica leghista è apparsa con tutta evidenza l’idea positiva e valida di una politica concreta, collegata alle diversità di contesto locale in cui deve essere fatta valere la credibilità e la progettualità di chi ne conduce le sorti a livello nazionale.

Solo partendo, infatti, dalle grandi regioni produttive ed efficienti del Nord, Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli e Trentino, a cui si sono via via aggiunte alcune regioni del Sud, è possibile cogliere fino in fondo la propulsività, adesso all’opposizione, del leader leghista.

Nel suo discorso conclusivo, Salvini, dopo aver ricordato i militanti scomparsi, ha tenuto il proprio ragionamento, ancorato ai temi di sempre: opposizione alle lobbie di potere della sinistra, sostegno ad un progetto di sviluppo e sicurezza nazionale, alternativa democratica all’europeismo degli ottimati di Bruxelles.

Siamo davanti non soltanto ad una politica conservatrice nuova, che recupera positivamente l’antico adagio del popolo libero contrapposto al potere oppressivo, ma ad un talento personale difficilmente ridimensionabile.

Salvini è espressione di una visione della politica come missione, nella quale immedesimazione e semplicità, autenticità e passione, confluiscono a comporre una sinfonia capita e sentita dai suoi sostenitori, ormai divenuti un fiume di persone in crescita.

Il bagno di folla che lo costringe a saluti, abbracci, fa tutt’uno con l’idea immortale della continuità di una tradizione popolare che va dalla venerazione del passato, materializzato negli anziani, al culto del futuro, indicato nei bambini.

La continuità intergenerazionale, la difesa della particolarità comunitaria, ma anche la non aggressività del messaggio, mai contro qualcuno perché ostile solo ad una certa modalità estranea di interpretare la politica, rivelano un fatto molto positivo del rinnovato progetto nazionale della Lega.

Per un conservatore la politica è definita sempre come principio esterno al potere, in grado di limitare i pericoli degli interessi soggettivi e le finalità fintamente strategiche degli ottimati. A Pontida è il momento del popolo reale, fatto di persone semplici e produttive, di gente cristiana buona e laboriosa che vuole perseverare nella propria identità, generando e tutelando un’autentica soggettività nazionale orgogliosa e fedele alla propria coincidenza e alle esclusive origini.

Il nemico non è questo o quel politico italiano o straniero, ma un modo errato di fare politica, distaccato dalla gente e dunque asservito non alla democrazia reale ma alla costruzione di un disegno di potere estraneo, inevitabilmente assoluto, uniformante e rischioso per la libertà.

Il fenomeno Salvini è cosa molto seria, ci costringe a ripensare il senso della politica, e a guardare ad un desiderio di partecipazione popolare che non vuole seguire spuntati cliché ideologici o retoriche sbiadite. Quello che la Lega interpreta, analogamente a Giorgia Meloni e a FdI, è un modo diverso di interpretare la sovranità popolare: la democrazia non è volontà di trasformare e modificare l’essere dei popoli, ma lo strumento di difesa della vita personale, dei valori, della proprietà, della famiglia e della propria peculiare essenza, davanti ad una volontà di potenza che è pronta a distruggere tutto pur di uniformare l’esistente al proprio disegno strategico.

Qui non siamo davanti al populismo o al sovranismo, espressioni, a dire il vero, poco significative, ma all’avanzare di un’esigenza di democrazia dell’identità e dell’identificazione, contrapposta alla ideologia dei diritti universali, del progressismo globale e dell’europeismo individualistico e neutralizzante.

Ripartire dai popoli, ripartire dalla cerchia comunitaria prossima, vuol dire leggere il mondo nella prospettiva orgogliosa e propria di ciò che si è, senza modificarla sotto i ferri dell’universalismo. Anche essere cristiani, diceva Bossuet, implica sempre che si ami il genere umano nella particolare sfera di attività e nel particolare Stato in cui si è nati.

Fermare questo treno in corsa, da parte di una sinistra ormai chiusa in un modello ideale incomprensibile, non sarà possibile facilmente alle urne, e sarà impossibile evitando il confronto con lo spirito e il senso del popolo e della nazione in movimento.

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