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Trump, i talebani e il monito dell’11 settembre. L’analisi di Vespa

L’11 settembre è dimenticato per 364 giorni l’anno, poi arriva l’anniversario e ci ricordiamo delle Torri gemelle. Quest’anno esce il libro di Garrett M. Graff, “The Only Plane in The Sky”, con 5mila testimonianze di quei giorni e leggerle 18 anni dopo fa venire i brividi. Dal 2001 il mondo è cambiato quasi del tutto (banalmente, si sono susseguiti tre presidenti degli Stati Uniti e nove governi italiani) come equilibri geopolitici ed economici e come lotta al terrorismo: nel 2001 solo gli specialisti conoscevano al Qaeda, nel 2011 l’uccisione di Osama bin Laden sembrò aver dato una svolta decisiva, poi l’embrione dell’Isis si presentò nel 2014 crescendo a dismisura e oggi, con un po’ di guerre devastanti qua e là, al Qaeda e Isis sono ben piazzati anche in Afghanistan. Perché l’11 settembre ci porta fin lì, visto che la reazione all’attentato dette il via alle missioni internazionali in quell’area lontana.

FINE DELLE TRATTATIVE?

Gli ultimi attentati compiuti dai talebani, compreso quello nel quale è stato ucciso il quarto soldato americano in due settimane, hanno convinto Donald Trump a cancellare il segretissimo vertice di Camp David nel quale sperava di firmare l’accordo di pace con i talebani e, separatamente, con il presidente afghano, Ashraf Ghani. Si è accorto che “probabilmente non hanno il potere di negoziare un accordo significativo” se non solo non garantiscono un cessate il fuoco, ma addirittura uccidono 12 civili. Una decisione giusta secondo il segretario di Stato, Mike Pompeo, per il quale “gli Stati Uniti non faranno alcun accordo con chi continua a seminare violenza”. Nei giorni scorsi Time aveva scritto che Pompeo non era affatto d’accordo sulla firma perché non c’erano garanzie e nessuno credeva alla buona fede dei talebani i quali, a loro volta, dopo la rottura di Trump minacciano l’invio di terroristi e garantiscono la continuazione del jihad.

GOVERNO DEBOLE, TERRORISTI FORTI

Alla vigilia delle elezioni afghane del 28 settembre è difficile prevedere che cosa succederà, ma è ingenuo credere che i talebani possano davvero accettare le tre condizioni poste dagli americani: l’impegno a combattere i gruppi terroristici come al Qaeda, un dialogo con il governo afghano (che odiano) e un cessate il fuoco in cambio del ritiro di 5.400 soldati entro tre mesi dalla firma. Già in agosto, un’analisi del Soufan Center di New York lanciava un pericoloso paragone tra l’eventuale uscita degli Usa dall’Afghanistan e la fuga dal Vietnam di circa 45 anni fa: le forze armate e di polizia afghane sono corrotte e sostanzialmente inaffidabili, mentre le forze speciali afghane potrebbero agire molto meno senza il supporto americano. Inoltre, a dispetto delle promesse, risulta che elementi di al Qaeda in the Indian Subcontinent (Aqis) combattano insieme con i talebani, che controllano più territorio rispetto al 2001. Infine, non va certo dimenticata la presenza dell’Isis con l’Iskp (Islamic State Khorasan Province).

FINANZIAMENTI AL TERRORISMO

Chi, nell’amministrazione americana e nei governi Nato, è combattuto tra il voler porre fine a una guerra che dura da 18 anni e la paura che l’Afghanistan diventi una vera base terroristica, sa che un elemento di prudenza risiede anche nella capacità di finanziamento che hanno quelle organizzazioni. In questo l’Afghanistan insegna molto, visto che vi si produce il 90 per cento dell’oppio consumato nel mondo ed è anche uno dei maggiori produttori di eroina. Un recente rapporto del consorzio Start per gli studi sul terrorismo dell’università del Maryland ricorda che recentemente in Afghanistan sono state individuate 24 risorse minerali per un valore di circa 900 miliardi di dollari alle quali sono ovviamente molto interessati Stati Uniti e Cina, senza considerare i tanti “signori della guerra” locali.

La scelta americana influenzerà quella degli altri Paesi della Nato impegnati nella missione Resolute support, compresa l’Italia. Trump vorrebbe a tutti i costi mantenere la promessa elettorale di andarsene, ma i talebani non sono un’azienda quotata a Wall Street e non parlano lo stesso linguaggio del presidente. La realtà è che oggi non ci sono garanzie per l’Occidente e probabilmente andarsene dall’Afghanistan significherebbe aumentare esponenzialmente i rischi di ondate di attentati in Europa. Leggere le testimonianze dell’11 settembre serve a ricordare.

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