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Perché l’avvertimento degli Usa sul 5G cinese è fondato? L’analisi di UniFi

Di Marco Maldera

Si sente spesso parlare del 5G come della prossima rivoluzione nel mondo dell’Ict, ma non sempre le sue capacità sembrano essere comprese fino in fondo. Se molti si limitano ad esaltarne le qualità tecniche in merito alla superiore velocità di navigazione e download rispetto all’attuale quarta generazione, la reale novità è rappresentata dalla potenzialità della rete mobile di superare quella fissa e creare una totale interconnessione tra oggetti, rete e utenti nella vita quotidiana. Alcuni esempi del suo utilizzo riguardano realtà aumentata, intelligenza artificiale, automazione, robotica, blockchain, pagamenti digitali e tutto ciò che concerne l’Internet of Things – auto, case, infrastrutture e città connesse, solo per menzionarne alcuni – per cui ogni dispositivo sarà interconnesso e gestibile da remoto permettendo a miliardi di oggetti di collegarsi simultaneamente in tutto il mondo. In poche parole, il 5G sarà il prossimo standard di comunicazione mobile e, poiché sarà abilitante per le nuove sfide tecnologiche a livello mondiale, la digitalizzazione dei vari paesi passerà dalla necessità di rendere più performanti le proprie linee di comunicazione.

5G, CUORE DELLA GUERRA TECNOLOGICA TRA WASHINGTON E PECHINO

Una volta compreso che il 5G costituirà il nuovo sistema nervoso mondiale è più semplice capire l’aspro confronto in corso tra Cina e Stati Uniti: quella che viene mascherata da guerra commerciale è in realtà una guerra tecnologica nella quale Pechino ha le idee molto chiare. Varato nel 2015, il programma Made in China 2025 ha l’obiettivo di trasformare il Paese, che erroneamente viene ancora concepito quale fabbrica del mondo, in una mega industria 4.0 dove i cardini del progetto sono costituiti da investimenti in internet, supercomputer, intelligenza artificiale, robotica, automazione industriale, nuovi materiali, ferrovie, aerospazio, infrastrutture marittime e scienze della vita. Entro quella data infatti il Paese intende raggiungere un’autonomia dell’80% in una serie di settori chiave dell’alta tecnologia, ulteriore elemento che aiuta a capire per quale motivo Washington si sia più volte scagliata contro i giganti high-tech cinesi come Huawei e ZTE. Nella competizione per il primato tecnologico mondiale la Cina sembra aver intrapreso la strada giusta per superare gli Stati Uniti nel prossimo futuro anche grazie ad un mix efficace di priorità politiche e bisogni industriali.

L’INSEGNAMENTO NELLE SCUOLE

Con il piano Made in China 2025 Pechino sta cambiando la geografia globale dell’innovazione e dello sviluppo industriale in quanto ha reso quattro province del sudovest del Paese il nuovo polo dell’high-tech. Per realizzare questo progetto nel lungo periodo sta investendo molto per formare le nuove generazioni di ricercatori, sviluppatori, docenti ed esperti al punto che da quest’anno nei programmi di diverse scuole secondarie di primo e secondo grado sarà introdotto lo studio dell’intelligenza artificiale, strumento già adoperato per monitorare la soglia di attenzione ed il comportamento degli studenti un aula. Anche gli Stati Uniti vogliono introdurre la materia nel programma scolastico e nel maggio 2018 l’Association for the Advancement of Artificial Intelligence ha presentato l’iniziativa “ai4k12”, volta a stabilire delle linee guida nazionali per lo studio dell’intelligenza artificiale sino alle scuole superiori.

DUE VISIONI OPPOSTE DELLA RETE 

La Cina sembra quindi essere particolarmente impegnata a diventare leader mondiale del settore, senza porsi problemi in merito alla questione sulla privacy che invece accende forti dibattiti in Occidente. Sono proprio queste due visioni opposte del controllo delle informazioni, dell’idea di rete globale e quindi, della spina dorsale rappresentata dal 5G, a dettare la rivalità tra Washington e Pechino: se la prima vuole mantenere una visione più liberale, la seconda vorrebbe un governo politico delle tecnologie sottoposte a maggiore sorveglianza. La Cina punta a giocare il ruolo di principale fornitore di tecnologia e Huawei, diventata leader mondiale anche grazie ai 20 miliardi investiti in ricerca e sviluppo, è accusata da Washington di rappresentare il “cavallo di Troia” per l’intelligence di Pechino, anche per via della normativa approvata nel 2017 nel Paese che impone alle organizzazioni e ai cittadini cinesi di “sostenere, cooperare e collaborare nel lavoro di intelligence nazionale”, con il timore che il Governo possa chiedere a Huawei di incorporare delle backdoor nelle proprie apparecchiature a fini di spionaggio. Tuttavia, nonostante le accuse statunitensi, non ci sono prove che sino ad oggi Pechino abbia avanzato queste richieste.

LA CINA RECUPERA TERRENO…

Come accennato in precedenza, la Cina non è più solo il Paese povero che fabbrica prodotti a basso costo: la forte direzione del Partito Comunista Cinese e la grande disponibilità di capitali ha fatto si che le aziende tecnologiche del Paese recuperassero rapidamente il gap con quelle occidentali. Importanti operazioni finanziarie e non solo stanno ora suscitando la preoccupazione di molti governi del Vecchio Continente poiché circa il 60% degli investimenti cinesi in Europa sono stati originati da entità statali, sostenuti quindi da finanziamenti governativi, la cui quasi totalità consistono in M&A, Merger & Acquisition, cioè fusioni e acquisizioni maggioritarie o totali.

…ED I PAESI OCCIDENTALI TENTANO DI CORRERE AI RIPARI

In un documento della Commissione Europea dello scorso marzo in merito ai rapporti tra l’Unione e la Cina, quest’ultima viene descritta quale “partner di negoziato con cui l’Unione deve trovare un equilibrio di interessi, un concorrente economico che ambisce alla leadership tecnologica e un rivale sistemico che promuove modelli di governance alternativi”. Per questo motivo il 10 aprile scorso è entrato in vigore il regolamento n. 2019/452 del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per il controllo degli investimenti diretti esteri mirante a difendere gli interessi strategici dell’Unione Europea che sarà pienamente applicabile solo dall’11 0ttobre 2020. Di grandi opportunità e minacce che viaggeranno con il 5G si è discusso anche ad inizio maggio a Praga, dove i rappresentanti di 32 paesi di Europa, Nord America, Australia, Israele, Asia e Nato hanno discusso in merito alle best practice da usare per lo sviluppo di reti sicure. Significativa a tal riguardo, l’assenza (voluta) di Cina e Russia.

L’AUSPICIO PER UN GOLDEN POWER EUROPEO

Si è infatti creata un’importante distorsione del mercato per cui Pechino ha impedito ad investitori stranieri di entrare in settori strategici dell’economia cinese. L’ultimo esempio di tale assenza di reciprocità si è avuto nel settore finanziario, con la recente proposta avanzata dalla Borsa di Hong Kong, principale centro finanziario dell’Asia, per una fusione con la City di Londra, che a sua volta detiene Piazza Affari. Come già riportato su queste colonne, la questione non sarebbe prettamente di interesse inglese ed italiano, per quanto tale operazione potrebbe condurre ad un controllo cinese del mercato dei titoli di Stato italiani e quindi dello strumento che finanzia il debito pubblico del Paese: Pechino potrebbe infatti entrare direttamente nelle dinamiche e nelle decisioni della Banca Centrale Europea, motivo per cui si auspica la protezione, mediante il Golden Power attuato a livello europeo, di un interesse Continentale, non nazionale.

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