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L’Italia investa in Africa. Parla Ottati (Assafrica)

Giovanni Ottati è un uomo d’impresa. Un esploratore di territori di confine, uno scopritore di opportunità e mercati. È il Presidente di Confindustria Assafrica& Mediterraneo, l’associazione del Sistema Confindustria che riunisce, rappresenta e supporta le imprese italiane operanti o interessate a svilupparsi nei Paesi del Mediterraneo, Africa e Medio Oriente. La sua caratteristica principale è la determinazione e, bando alle difficoltà che pure ha dovuto affrontare negli anni, ha saputo creare dalla sua sola esperienza manageriale un’azienda, Vuetel, capace di collegare tra loro gli operatori di telecomunicazioni dei singoli Stati africani con il resto del mondo. Un italiano ha unito e collegato l’Africa con il resto del mondo. Oggi ci pare una cosa normale, ma non lo è: è un fatto rilevante di cui andare orgogliosi.

Presidente Ottati, lei è un imprenditore globale senza dirigere una multinazionale…

Lo sono per storia personale innanzitutto. Ho studiato fino alla prima liceo in Africa subsahariana, poi ho vissuto a Ryad lavorando per Italcable, l’azienda a suo tempo concessionaria dello Stato italiano per erogare servizi di telecomunicazioni da e per l’Italia nei paesi extra-europei che non si affacciassero sul Mediterraneo e, unica eccezione, in Israele. Andai anche ad Hong Kong a metà degli anni novanta e poi in Telecom fino al 2008 come responsabile delle attività internazionali per il Mediterraneo, l’Africa e il Medio Oriente. Infine decido di mettermi in proprio fondando Vuetel nel 2010: lo faccio senza attingere a capitali di famiglia, che non avevo, investendo 10.000 dollari. Comprai il primo software in Russia e lo installai in un server americano…

Vuetel si sviluppa fin dall’inizio in Africa, perché?

Era l’unica area con uno spazio di mercato tale da giustificare l’investimento di un piccolo: all’epoca c’era un ritardo forte sulle telecomunicazioni e i servizi ad esse connessi. Negli anni il gap è stato colmato dal mercato del mobìle: sa oggi quanti africani possiedono un telefonino? Quasi la totalità, il 97%… In Africa le principali compagnie presenti sono la francese Orange, la sud africana Mtn, Vodacom che aderisce alla rete Vodafone e l’indiana Airtel: all’epoca feci un’operazione sfruttando la conoscenza del territorio. Riuscii a far comunicare gli abbonati di ogni singolo operatore con il resto del mondo. Affittai il satellite, i cavi sotto marini e alcune centrali di ripetizione a Londra e New York. Poi con altre 15 aziende ho aperto un Data Center per servizi di connettività alle imprese a Carini, in provincia di Palermo.

La sua esperienza è quasi pionieristica. In Paesi a quel tempo in difficoltà sulle infrastrutture, la sicurezza e l’ordine pubblico, solo una multinazionale avrebbe potuto permettersi di investire in Africa…

È cosi, ma da allora la presenza italiana nel continente non è molto cambiata. Mentre storicamente abbiamo assistito all’insediamento delle partecipate italiane in campo energetico, alla Fiat in Etiopia e a Mediobanca in Liberia, oggi tra gli istituti di credito leader troviamo quelli di Francia e Marocco. L’Italia conta su Eni, Cremonini, Renda, Impregilo Salini e circa 800 imprese italiane, di cui un nutrito numero sono aziende campane.

Perché oggi le imprese italiane dovrebbero investire nel continente africano?

Perché oggi l’Africa rappresenta un’opportunità strategica per crescere a livello internazionale. Vede spesso si dice che l’Italia aumenta l’export delle proprie imprese ed è così naturalmente, se paragoniamo i risultati anno per anno; ma occorrerebbe un rapporto sul complesso del mercato mondiale degli scambi internazionali per misurare quanto realmente le nostre esportazioni crescono in valore assoluto. Quanti fanno come Calzedonia oggi? Ha investito in Etiopia aprendo uno stabilimento produttivo, ha creato occupazione e cresce alla grande programmando lo sviluppo in altri Paesi africani. Quasi nessuno si muove con le stesse modalità, tranne la Cina che sistematicamente apre imprese manifatturiere in Africa.

Il Mezzogiorno può essere una piattaforma logistica funzionale all’insediamento delle imprese italiane in Africa?

Il Mezzogiorno può essere una piattaforma di saperi e competenze specializzate per essere complementare allo sviluppo manifatturiero dell’Africa. La logistica poi vien da sé attraverso uno sviluppo ragionato del sistema portuale e delle reali infrastrutture necessarie allo smistamento delle merci verso i mercati europei. Tuttavia non basta, dovremmo recuperare un ruolo delle imprese spedizioniere nei porti del Mediterraneo contrattando una gestione multilaterale di quegli snodi. In questo senso il ruolo delle Città sarebbe d’aiuto alle imprese in un’ottica di valorizzazione del Mezzogiorno, dunque del sistema Italia.

Quale dovrebbe essere il ruolo delle città?

Insieme alla Farnesina, alle Camere di commercio congiunte e agli Ambasciatori nei singoli Stati, le Città potrebbero svolgere un ruolo di diplomazia culturale e progettuale capace di sostenere l’insediamento dei propri fornitori e dell’intero tessuto economico locale. L’azione sinergica delle Città viene così inquadrata in un’unica azione nazionale che punta sulla differenziazione e non sulla competizione spinta tra comunità, né su un’azione casuale dove ognuno va per sé.

Vuetel è tra i primi partner di E4Impact, la Fondazione promossa da Letizia Moratti.

Si. L’azione industriale va associata ad iniziative legata alla formazione: l’esperienza di Letizia Moratti è molto ben organizzata da questo punto di vista. È una grande alleanza tra stakeholder per promuovere al meglio gli imprenditori che hanno un significativo impatto economico e sociale con il continente africano.

La sua passione oggi si concentra in Niger. Può dirmi di più a riguardo?

Da sette anni Vuetel è l’unica azienda italiana presente in Niger. Ed è un Paese che amo tanto quanto la Libia, ma è poco conosciuto, anzi per la verità viene spesso confuso con la Nigeria o tutt’al più annotato tra i Paesi da cui partono i flussi migratori. Sbagliando, perché dal Niger emigrano in Libia e lì restano. Il Niger è un Paese affascinante, di frontiera che collega i Paesi che si affacciano sul golfo di Guinea, sull’Atlantico dunque, con il Mediterraneo attraverso la Libia e l’Algeria.

Lei ha parlato di una svolta culturale da parte delle imprese italiane come dell’intero sistema imprenditoriale europeo. BusinessMed e BusinessEurope possono essere organizzazione capaci di animare il mercato unico euromediterraneo?

Sì, l’impresa italiana deve ripensare a fondo il suo modello di business destinando innanzitutto investimenti piccoli, medi e grandi alla conoscenza puntuale del mercato africano. Il mio consiglio poi è di essere presenti fisicamente favorendo la crescita di progetti formativi collegati all’apertura di stabilimenti e puntando molto sullo sviluppo della produzione culturale italiana come alleato con cui investire. Detto questo occorre una crescita della diplomazia economica tra imprese europee: se i nostri principali partner commerciali europei comprendono che è possibile presentarci in Africa con operazioni economiche comuni, ne trarranno benefici generalizzati. In questo l’azione dei Presidenti di Confindustria, Medef e BDI è molto importante: il concetto di complementarietà tra imprenditori di Paesi diversi , può aprire una
stagione innovativa nelle relazioni economiche. In tal senso BusinessMed e Business Europe possono certamente rappresentare strumenti da implementare al servizio del mercato unico euromediterraneo.


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