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Per difendersi dal 5G cinese serve una sovranità digitale. Parla Mollicone

Innovazione e investimenti “sono sempre positivi, ma non possiamo non distinguere quelli di Pechino dagli altri” dai quali “ci si può difendere introducendo una sovranità anche digitale”. A crederlo è Federico Mollicone, deputato di Fratelli d’Italia e responsabile Innovazione del partito, che in una conversazione con Formiche.net parla di cyber security e protezione delle reti 5G facendo il punto sulla presenza di colossi cinesi come Zte e Huawei (che ha inaugurato oggi i nuovi uffici romani) e sull’approvazione alla Camera del Decreto cyber. E sulla ‘passione cinese’ del Movimento 5 Stelle dice che…

Onorevole Mollicone, oggi la Camera ha approvato il Decreto cyber in corso di conversione, che prevede un rafforzamento delle misure di controllo e protezione delle reti. Come valuta il provvedimento dopo il passaggio a Montecitorio?

Eravamo e siamo a favore delle ragioni che stanno alla base provvedimento, ma ci siamo dovuti astenere dal votarlo perché la maggioranza ha rifiutato di inserire alcuni strumenti migliorativi da noi suggeriti. Però registriamo che alcuni dei nostri suggerimenti sono passati con la formula dell’ordine del giorno. In particolare, il governo potrà dare alla presidenza del Consiglio e alla Difesa indicazione di creare un’unica centrale di unità di crisi. E poi il fatto che per la prima volta, in un atto parlamentare, si parli del concetto di sovranità digitale, che noi riteniamo fondamentale.

A proposito di sovranità digitale: sempre oggi Huawei ha inaugurato un nuovo ufficio a Roma alla presenza del sindaco di Roma Virginia Raggi. Che ne pensa?

Mi preoccupa molto la partecipazione a un evento simile. Da un lato il governo approva il Golden power sulle reti, ma dall’altro ha firmato il Memorandum d’intesa sulla Via della Seta. Sono aspetti che confliggono. In generale, da parte del Movimento 5 Stelle c’è un atteggiamento di grandi disponibilità e permeabilità rispetto alle autorità cinesi. Anche per questo la sovranità digitale è importante, soprattutto nel rapporto con un Paese come la Cina.

Intende che gli investimenti cinesi non sono benvenuti?

Non c’è da parte nostra nessun pregiudizio nei confronti della popolazione cinese, della sua cultura e della sua storia millenarie. Ma abbiamo mole riserve verso la politica aggressiva che Pechino attua sia dal punto di vista finanziario-economico sia da quello politico-istituzionale. È un dato di fatto che l’articolo 7 della legge cinese sull’intelligence emanata nel 2007 imponga a tutte le aziende l’obbligo di fornire ai servizi segreti di Pechino qualsiasi informazione ottenuta nell’esercizio del proprio lavoro all’estero. E questo, naturalmente, non può che preoccupare in un settore così delicato come le telco.

Ritiene che ci sia bisogno di difendersi?

Sì, e penso che ora, grazie al rafforzamento del Golden Power, ci siano gli strumenti adatti per farlo. Mi riferisco in particolare al fatto che l’obbligo di notificare alla presidenza del Consiglio dei ministri l’acquisizione della partecipazione è stato esteso anche al superamento della soglia del 50 per cento del capitale rappresentato da azioni con diritto di voto. Questo vuol dire che un’azienda come Zte, il cui 51 per cento è di proprietà del governo cinese, rientra nel provvedimento. Questo naturalmente non risolve il problema, che è più largo.

Che cosa intende?

Innovazione e investimenti sono sempre positivi, ma non possiamo non distinguere quelli cinesi dagli altri. Il tema a nostro parere è semplice. Pechino sviluppa e gestisce le sue tecnologie in un modo che per noi non è eticamente sostenibile. Nella regione dello Xinjiang – o meglio in Uiguristan, una denominazione che il governo rifiuta – centinaia di migliaia di esseri umani vivono in una sorta di panopticon digitale, controllati 24 ore su 24 da droni, app spia da installare obbligatoriamente sui propri dispositivi e da telecamere con tecnologia di riconoscimento facciale che qualcuno ha ben pensato di installare a Roma, e che noi abbiamo per questo contestato. I dati raccolti confluiscono in centri di elaborazione che potrebbero sfuggire al nostro controllo; e non c’è nessuna rassicurazione che non confluiscano altrove, magari per essere un giorno usate contro di noi. Anche per questo è importantissimo assicurarsi che le infrastrutture sulle quali questi dati transiteranno, le reti 5G, siano costruite da soggetti affidabili.



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