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Pompeo tende la mano sulla Libia ma su Cina e Venezuela…

“Noi siamo molto grati all’Italia per quello che ha fatto, per la sua leadership nelle azioni Nato in Libia, Iraq e Afghanistan”, ha detto il segretario di Stato statunitense, Mike Pompeo, durante la conferenza stampa con il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, a Villa Madama. L’incontro tra i capi diplomazia di Stati Uniti e Italia è andato bene, commentano le fonti, ma adesso Washington vuole vedere riscontri attivi. I temi sul tavolo ci sono, le volontà anche, ma vanno verificate.

“So che possiamo fare molto di più insieme”, ha detto Pompeo. Il perimetro è ampio, il Golden Power imposto su certi argomenti da solo potrebbe non essere sufficiente, ma Di Maio ha enfatizzato come forma di “protezione delle propria sovranità” un passaggio sulla collaborazione riguardo le infrastrutture strategiche, ossia quelle delle comunicazioni e delle telecomunicazioni (leggasi 5G: “Le preoccupazioni di Washington in merito sono anche le nostre – dice Di Maio – ed è per questo che abbiamo recentemente varato una nuova normativa che ci rende uno dei paesi europei più avanzati in termini di sicurezza informatica”).

Mentre Matteo Salvini torna a fare il “russo”, calcando in televisione sulle qualità di Vladimir Putin come capo di stato e sulla negatività delle sanzioni – “inutili e sbagliate” – che l’Italia ha rinnovato alla Russia per l’annessione della Crimea, l’ex collega di governo Di Maio cerca un contatto con Washington dopo essere passato per mesi come il ministro, il leader politico, che ha aperto la porta alla Cina (dal suo ministero è nato infatti l’afflato che ha portato Roma sulla Via della Seta cinese).

Messaggio recepito negli Usa? Chissà… Intanto oggi, e forse non è un caso, Pompeo ha ringraziato l’Italia anche per tenere il punto sulle sanzioni alla Russia, “finché la situazione non cambia”, mentre su Repubblica e Fatto Quotidiano uscivano nuove informazioni sui collegamenti della Lega col mondo putiniano.

I dossier affrontati sono stati molti. Si è parlato di Libia, per esempio, con il segretario di Stato che ha dimostrato come la questione sia tornata di completa competenza dell’asse strutturale tra due apparati fondamentali a Washington: il suo dipartimento e il Pentagono. Un’accoppiata che sulla Libia vede da un lato l’azione politico-diplomatica del nuovo ambasciatore Richard Norland e dall’altro l’impegno di AfriCom contro il terrorismo “in coordinamento” con il governo onusiano di Tripoli.

Pompeo ha sottolineato pubblicamente di aver parlato della crisi libica – innescata dall’attacco su Tripoli lanciato ad aprile dal signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar – anche con il presidente Sergio Mattarella e con il premier Giuseppe Conte. Serve la pace e il cessate il fuoco immediato, ha detto, per favorire il percorso politico che dovrà riavviarsi con la conferenza di Berlino, passaggio importante in programma per il breve futuro su cui anche il Quirinale si è già speso. Pompeo già il 7 aprile, a tre giorni dall’avvio della campagna haftariana sulla capitale, aveva chiesto esplicitamente al capo milizia della Cirenaica di fermare i combattimenti.

Se la Libia è un punto di contatto, per far sì che “Italia e Usa restino uniti sulle crisi internazionali”, come sottolineato da Pompeo, un altro dossier necessità di un riallineamento: il Venezuela. Il capo della diplomazia americana è stato molto esplicito, “abbiamo il compito di far fronte all’amministrazione di Nicolas Maduro, che più volte si è rivelata incapace di gestire quanto sta accadendo in Venezuela”, ha detto. Un messaggio diretto al M5S, di cui Di Maio è leader: i grillini infatti, dalle file del precedente governo avevano preso posizioni critiche su un appoggio incondizionato al presidente ad interim Juan Guaido, che invece Washington – con quasi tutto il blocco occidentale – sostiene nella sua richiesta di elezioni democratiche.

Lo scambio riguardo ai dossier Libia-Venezuela, ma anche sulla Cina o sulla Russia, incrocia il campo dell’elemento di fondo nelle nuove relazioni tra Usa e Italia: la reciprocità. “I legami tra Italia e Stati Uniti sono molto profondi, abbiamo avuto una discussione eccellente sulla collaborazione stretta che c’è tra gli Stati Uniti e il nuovo governo italiano, abbiamo valori comuni che si basano sulla democrazia e sullo stato di diritto”, ha detto Pompeo: un terreno comune profondo, vero, a cui adesso però Washington chiede di abbinare anche azioni comuni.

Sfumature maliziose: mentre l’incontro con Mattarella è stato definito da Pompeo “great” e ha ruotato intorno al senso profondo dell’amicizia italo-americana – di cui il Quirinale è polo e snodo –, per descrivere l’incontro con Conte, ossia con il governo, ha usato un tono già distaccato in cui ha precisato che il meeting è servito per “riaffermare” le relazioni e “discutere di [come] lavorare insieme per affrontare sfide comuni”. “Produttivo” ha definito  invece il colloquio con Di Maio, con cui dice di aver discusso “l’importanza dell’unità transatlantica di fronte alle sfide globali” — come la Cina? Sembra come se Washington aspetti quelle azioni, appunto, per capire se fidarsi del tutto del governo italiano.


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