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Huawei ingaggia (anche) EY ma i dubbi sul 5G restano tutti. Ecco perché

L’Italia è pronta per garantire la sicurezza delle prossime reti 5G? Mentre il pressing americano per escludere le aziende cinesi prosegue, come si è evinto dalle parole dette durante la sua visita dal segretario di Stato Mike Pompeo, sono ancora molti i nodi da sciogliere su questo tema, anche dal punto di vista tecnico.
Alcuni di questi attengono innanzitutto al nuovo assetto determinato dai recenti provvedimenti governativi, a cominciare dal rafforzamento dei poteri speciali concessi dal Golden Power, estesi al 5G, e al perimetro di sicurezza nazionale cibernetica, varato con un decreto ora al vaglio del Parlamento. Ma non sono i soli.

IL NODO DEL CVCN

Snodo cruciale del nuovo sistema, nato con l’intento di non escludere a priori nessun fornitore ma di analizzare, di volta in volta, le potenziali vulnerabilità delle apparecchiature, è il Cvcn, il Centro di Valutazione e Certificazione Nazionale istituito presso il Mise. La struttura, per la quale sono state previste assunzioni, sarà il luogo dove in pratica si verificherà se alcune forniture potranno o meno rappresentare un pericolo per la sicurezza nazionale; e solo dopo questo scrutinio sarà concesso alle telco di adottarle. Questo passo è stato benvenuto dagli addetti ai lavori, che chiedevano da tempo un meccanismo che potesse procedere una valutazione approfondita di hardware e software in ambiti critici e sensibili, come saranno tra gli altri le nuove reti. Ma il centro al momento esiste solo sulla carta e sono ancora diversi i punti da chiarire secondo gli esperti. Si prenderà nuovo personale, questo è vero, ma quando, chi e come? Il decreto parla anche della possibilità di muovere risorse interne alla PA, ma saranno in linea con le competenze richieste, rare da trovare sul mercato e decisamente costose? E come sarà strutturata la governance del Centro e in quali tempi verrà definita?

LA FASE DI SPERIMENTAZIONE

In una recente audizione alla Camera, le principali aziende della filiera delle telco, rappresentate dal presidente di Asstel Pietro Guindani, hanno rimarcato la necessità di avere regole certe in tempi brevi, in modo da programmare investimenti senza il rischio che si possa poi dover tornare indietro. Una richiesta legittima, ma che, spiegano gli esperti, viene subito dopo la definizione di un quadro che possa garantire la sicurezza degli apparati, compresi quelli adottati in questa fase di sperimentazione delle nuove reti.

IL PRESSING CINESE

Il 5G, grazie alle sue caratteristiche di alta velocità e bassa latenza, porterà allo sviluppo di servizi connessi all’IoT, con applicazioni innovative in settori come la sanità, l’energia, i trasporti, la domotica e altri ancora.
Uno studio recente di EY, commissionato da Huawei (che ha da poco inaugurato un Innovation center e avviato un tour sulle potenzialità delle smart cities), valuta che gli investimenti degli operatori nelle nuove reti (stimati in Italia in circa 25 miliardi di euro entro il 2025) avranno ritorni molto significativi per il sistema-Paese, pari a circa lo 0,3% del Pil all’anno in media per 15 anni a partire dal 2020, con un impatto positivo tra 5 e 6 miliardi di euro l’anno.

IL NODO GEOPOLITICO

Impossibile, però, secondo gli osservatori, slegare gli elementi di business dalle questioni di sicurezza che attengono allo sviluppo delle nuove reti. Il 5G, ha spiegato su queste colonne Marco Maldera del Center for Cyber Security and International Relations Studies dell’Università di Firenze, “costituirà il nuovo sistema nervoso mondiale”; e, “una volta compreso” questo, “è più semplice capire l’aspro confronto in corso tra Cina e Stati Uniti: quella che viene mascherata da guerra commerciale è in realtà una guerra tecnologica”.
A Pechino, dove a detta di Washington sarebbe in corso una fusione delle componenti civili-militari sotto un quadro sostanzialmente controllato dal governo, con le aziende che si muovono secondo linee politiche e geopolitiche, questo concetto è chiaro.
Non a caso il ceo di Huawei Italia, Thomas Miao, è tornato a criticare in una intervista con il Sole 24 Ore la normativa sul Golden Power definita “un aggravio di burocrazia” che starebbe rallentando il roll-out della tecnologia in Italia. Poi, però, il manager cinese si è spostato sul piano geopolitico, chiarendo che tra gli auspici del colosso di Shenzhen c’è quello di vedere la Penisola in “una posizione più neutra. Bene prevedere dei controlli”, dice, “ma andrebbero estesi anche agli operatori europei e non solo extra-Ue”.

LA SCELTA ITALIANA

Roma si trova dunque tra due spinte: da un lato le pressioni cinesi che dall’adesione dell’Italia alla nuova via della Seta, unico tra i Paesi del G7, si sono fatte più insistenti e supportate, tra l’altro, da un forte attivismo mediatico; dall’altro gli appelli degli Stati Uniti, che evidenziano come una presenza di Pechino nel 5G italiano potrebbe mettere a rischio non solo i dati e le comunicazioni della Penisola, ma anche quelli della Nato, della quale il Paese ospita alcune basi importanti per la proiezione dell’Alleanza nel Mediterraneo. Una situazione nella quale il governo in carica ha comunque sottolineato più volte di non volersi distanziare dalla linea atlantica tanto dal punto di vista valoriale quanto da quello pratico, essendo la Penisola pienamente inserita in un quadro di difesa e sicurezza che fa perno proprio sui forti legami con Washington. Un intendimento che è stato ben visto oltreoceano, dove tuttavia, ha rilevato Formiche.net durante la recente visita di Pompeo, si aspettano decisioni concrete anche sul 5G. La questione è infatti considerata urgente e fondamentale dall’amministrazione americana che, si dice in ambienti diplomatici, potrebbe presto estendere le sue “leve di persuasione” ben oltre i dazi.


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