Allarme interferenze straniere negli Usa, dove si teme che le elezioni dell’anno prossimo – al pari di quelle del 2016 – possano essere utilizzate per diffondere messaggi che minino la fiducia nella democrazia, alimentino divisioni sociali e promuovano specifiche agende distanti da quella americana.
Al contrasto di questa minaccia lavora l’Intelligence Community, che consiglia, tra le altre cose, di segnalare indicatori sospetti al Fbi o al Dipartimento dell’Homeland Security, che ha la responsabilità di proteggere le infrastrutture critiche (dunque anche quelle di voto).
LE STRATEGIE DI INTERFERENZA
Secondo un documento del National Counterintelligence and Security Center, i tentativi stranieri di interferire con le elezioni rientrano in cinque categorie distinte: operazioni informatiche mirate all’infrastruttura elettorale; operazioni informatiche rivolte a partiti politici, campagne e funzionari pubblici; operazioni di influenza segrete per assistere o danneggiare organizzazioni politiche, campagne o funzionari pubblici, operazioni di influenza segrete per influenzare l’opinione pubblica e seminare divisione; coprire gli sforzi per influenzare i politici e i cittadini.
MOLTEPLICI ATTORI
Questo tipo di pericoli, rileva il Dni, potrebbe assumere molte forme come la diffusione disinformazione, operazioni hack-and-leak
(come quella subita dai Dem con la diffusione delle mail di Hillary Clinton) o eventualmente manipolazione dei dati in modo mirato per influenzare le elezioni. Tutto ciò, secondo i servizi segreti americani, potrebbe coinvolgere una gamma più ampia di attori stranieri e statali rispetto a quelli che visti in passato, fino a includere entità motivate ideologicamente e criminali informatici stranieri.
LA MINACCIA IBRIDA
Ci si troverebbe di fronte a una minaccia ibrida vera e propria, perché a complicare anche il panorama ci sarebbe la possibilità, per gli attori stranieri, di utilizzare una gamma di strumenti che possono moltiplicare l’impatto delle loro attività dei nostri avversari e offuscare ulteriormente la loro origine. Nel paper si fa riferimento in particolare a forme non tradizionali di spionaggio che non utilizza agenti dell’intelligence professionisti per acquisire informazioni o ottenere l’accesso alle infrastrutture critiche; nuovi sensori e tecnologie di sorveglianza; operazioni di filiera; e, indirettamente, investimenti diretti esteri, joint venture e fusioni e acquisizioni di imprese e fornitori correlati alle elezioni che potrebbero fornire a un avversario l’accesso a sistemi chiave, reti e informazioni.
Non vengono sottovalutate nemmeno nuove frontiere, come quelle dei cosiddetti deepfake, ovvero una sintesi di immagini umane basata sull’intelligenza artificiale che viene utilizzata per combinare e sovrapporre immagini e video esistenti su immagini o video sorgente utilizzando una tecnica di machine learning chiamata ‘generative adversarial network’; la combinazione dei video esistenti e di quelli di origine genera un video in grado di rappresentare una persona o persone che dicono cose o eseguono azioni che non si sono mai verificate nella realtà, con l’obiettivo di gettarvi addosso discredito o metterle in difficoltà.
GLI ATTORI PIÙ TEMUTI
Quanto agli attori più temuti da Washington, questi possono essere riassunti in quelli che compongono il cosiddetto ‘Asse del Cyber’: Cina, Corea del Nord, Iran e Russia.
Mentre oltreoceano è ancora viva la memoria delle interferenze russe del 2016 al centro del Russiagate, da tempo le autorità americane ripongono maggiore attenzione a queste problematiche in ambito intelligence; uno ‘shift’ già avvenuto nella ‘nuova’ Cia guidata da Gina Haspel, agenzia che dopo essersi concentrata molto negli anni passati sulla minaccia terroristica, è tornata a concentrare uomini e risorse per controllare le mosse di Paesi come Russia.
Se si guarda all’Iran, recentemente è stato un approfondito report di Microsoft a evidenziare i movimenti di hacker vicini a Teheran, che avrebbero già iniziato a colpire almeno un candidato alle prossime elezioni.
E poi c’è Pechino. Quando si parla di operazioni d’intelligence che fanno leva sull’uso di informazioni, il pensiero va subito a Mosca, che in questo ambito è nota non solo per la ‘disinformatia’ di sovietica memoria, ma anche per le più recenti accuse americane di aver tentato di influenzare le ultime presidenziali. In realtà, hanno evidenziato in un interessante commento Laura Rosenberger e Zack Cooper – rispettivamente direttore e co-direttore dell’iniziativa Alliance for Securing Democracy portata avanti dal think tank German Marshall Fund of the United States – sarebbe tempo che Washington si focalizzasse in modo sistematico sulle campagne messe in atto da un rivale ben più ingombrante e strategico: la Cina.