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Lo Stato islamico in Libia cresce. C’entra Haftar?

Dal 20 settembre al 30 agosto il Comando Africa del Pentagono ha compiuto quattro raid aerei sulla Libia contro lo Stato islamico. I bombardamenti di precisione hanno colpito miliziani e quelli che la nota stampa di AfriCom definisce “leader”, e d’altronde una serie di attacchi concentrati nella stessa area, quella di Murzuq, significa che si sta dando la caccia a qualcuno di specifico. I raid sono stati i primi dal novembre dello scorso anno. Tutti sono stati identificati come operazioni condotte “in coordinamento” con il governo di accordo nazionale libico (Gna), l’esecutivo sotto egida dell’Onu che si trova a Tripoli esposto alla campagna di conquista del signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar, che vorrebbe rovesciarlo e diventare il nuovo rais.

Per gli Stati Uniti operare insieme alle forze collegate al Gna non è una novità: nel 2016, quando lo Stato islamico in Libia aveva costruito a Sirte il principale hotspot extra Siraq, da cui minacciava l’Europa (e da cui sono passati alcuni attentatori che poi hanno colpito su suolo europeo), furono i miliziani di Misurata – protettori politici e militari del Gna – a condurre insieme alle forze speciali americane (e di altri paesi occidentali) la missione per distruggerlo. I misuratini, che avevano chiamato la campagna contro il Califfato di Sirte “Al Bunian al Marsus” (edificio dalle fondamenta solide), venivano coordinati dagli Usa e ricevevano copertura area.

È in questo contesto che l’Italia inviò un ospedale militare da campo con tutta la sua équipe di circa trecento uomini, che fu posizionato nell’aeroporto di Misurata per dare un fondamentale supporto logistico: curare i tantissimi feriti nella battaglia. Ora le bombe di Haftar lisciano quello stesso ospedale perché Misurata, per l’uomo forte della Cirenaica, è il principale dei nemici, ma fino a qualche tempo fa – come rivela un’intervista dell’Agenzia Nova – le cose andavano diversamente, per lo meno sul fronte della lotta contro lo Stato islamico.

A parlare con l’agenzia stampa italiana, sempre molto informata su quello che succede in Libia, è Adel Bouchema, capo dell’Al Bunian al Marsus, che in questi tre anni è restata in piedi come forza anti-terrorismo, perché una volta caduta la dimensione statuale del Califfato libico, con Sirte, i baghdadisti si sono dispersi verso le aree meridionali senza legge del Paese. Ma restano una forza latente che va controllata, perché potrebbero tornare attivi in qualsiasi momento.

E Bouchema dice – come già evidenziato negli scorsi mesi dalle intelligence, anche italiana, e come dimostrato dall’aumento delle attività di AfriCom – che il rischio adesso è concreto: le condizioni di sicurezza a sud di Sirte sono degradate, unità della Bunian sono dovute correre a Tripoli per difendere il governo dell’Onu da Haftar, quel territorio ha spazi laschi e in effetti settimane fa gli uomini di Abu Bakr al Baghdadi in Libia sono tornati a farsi vedere. Diffusione di materiale propagandistico, check-point in cui controllano chi si muova nella zona, un paio di attacchi di maggiore importanza e altri minori. L’Is s’è rifatto vivo sfruttando la condizione caotica che dal 4 aprile squarcia la Libia, messa da Haftar sotto una nuova guerra civile.

Il comandante della guarnigione anti-Is aggiunge un fatto nuovo, ma centrale: a Nova spiega che prima dell’aggressione haftariana a Tripoli c’era un coordinamento tra forze di Misurata e quelle di Bengasi per compiere pattugliamenti congiunti e monitorare l’area. Due realtà arci-nemiche che si mettevano insieme davanti a un nemico comune: lo Stato islamico. Con l’attacco a Tripoli tutto è crollato. Questa rivelazione, esclusiva e unica, spiega in parte anche il perché alcuni attori internazionali – come l’Italia e per certi versi gli Stati Uniti – siano del tutto restii dal condannare Haftar.

La guerra contro i gruppi definiti dall’autoproclamato Feldmaresciallo come “terroristi” nella Cirenaica aveva un interesse sostanziale, conquistare quella regione a confine con l’Egitto (suo grande sponsor), ma il ruolo a sud di Sirte, dove i baghdadisti fuggiti dalla roccaforte si sarebbero rifugiati, è un punto di contatto con la Tripolitania di valore. Ma, come spiega Bouchema, l’ambizione egemonica l’ha evidentemente sovrastato. È forse per la rottura di questa sottile partnership che gli Stati Uniti negli statement in cui comunicano i loro raid sottolineano che le operazioni sono condotte insieme al Gna.

AfriCom ha il centro di comando a Stoccarda – e una lettura maligna può far passare queste nuove attività (che Bouchema dice “non sufficienti” e lo fa non senza propaganda) come un supporto all’iniziativa che Berlino ha lanciato sulla Libia: una conferenza in programma nei prossimi mesi. Le operazioni americane sono condotte probabilmente da unità che si trovano in Africa, per esempio in Niger, a Dirkou, c’è una base droni della Cia che è stata recentemente rinforzata, e sempre in Niger ci sono altri punti logistici creati proprio per il contrasto al terrorismo nell’Africa centro-settentrionale (nel Paese ci sono anche basi e contingenti francesi, italiani e tedeschi). Questo genere di operazioni della Cia sono solitamente segrete, mentre Africom (ossia il Pentagono) usa più pubblicamente l’Italia, basi come Sigonella o Trapani, o attività di monitoraggio da aeroporti civili come quello di Pantelleria.

Non sono state identificate al momento le basi di partenza, ma è piuttosto chiaro che per eseguire una serie di bombardamenti così intensa gli americani devono avere anche qualche forza sul campo per raccogliere dettagli. AfriCom nega di essere rientrato in Libia, da cui alcuni operativi erano stati estratti all’inizio dell’attacco haftariano a Tripoli, ma alcune informazioni arrivate a Formiche.net nei mesi passati parlavano di una presenza discreta di un contingente a Misurata.

Il paradosso della crisi innescata dall’attacco di Haftar a Tripoli è che mentre il Feldmaresciallo ha costruito attorno a sé una narrazione da sceriffo dell’anti-terrorismo, nella realtà è stata la sua campagna tripolina a riattivare lo Stato islamico – che ovviamente ha sfruttato gli spazi fisici, come lo spostamento di truppe e la fine delle missioni congiunte Misurata-Bengasi, ma anche quelli narrativi lasciati dall’attacco.

Secondo un sito locale che solitamente riporta informazioni piuttosto accurate dal Fezzan, la regione meridionale della Libia zeppa di controversie (tra gruppi locali, allungamenti delle fazioni in lotta al nord, traffici, contrabbandi e diffusione di organizzazioni terroristiche), il 26 settembre c’è stato un altro attacco aereo a Murzuq, ma non è tra quelli riportati da AfriCom, così come altri due nella serata tra il 26 e il 27 e il 27 mattina. Chi è che aiuta gli americani a colpire lo Stato islamico in quell’area di caccia ristretta?

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