Al di là della polemica il tema c’è. Possibile vincolare l’accesso ai social media all’identificazione degli utenti? Giusto responsabilizzare chi posta o commenta su Facebook, Twitter, Instagram?
La puntata di Report sulla “Fabbrica social della paura” ha diviso la politica e alimentato una nuova fiammata contro la trasmissione. Tra le reazioni spicca quella di Luigi Marattin, esponente di Italia Viva, economista ed ex consigliere economico di Matteo Renzi quando era premier. “Da oggi al lavoro per una legge che obblighi chiunque apra un profilo social a farlo con un valido documento d’identità. Poi prendi il nickname che vuoi (perché è giusto preservare quella scelta) ma il profilo lo apri solo così”, ha scritto su Twitter il deputato IV, rilanciando un post del regista Gabriele Muccino dello stesso tenore.
Gli abbiamo chiesto come sia possibile imporre un obbligo del genere e come si possano aggirare gli ostacoli tecnici e politici. “Si parte – spiega Marattin – dalla presa di coscienza di un dato di fatto. Le nuove tecnologie di connessione di rete, nate per allargare e rafforzare la democrazia, hanno finito per distorcerla e metterla a repentaglio. Sono ormai diversi i casi certificati di appuntamenti elettorali (anche molto rilevanti, come la Brexit) che sono stati manipolati da un utilizzo distorto del web. È il momento di dire basta. E di affermare una semplice verità: la democrazia funziona se chi partecipa allo spazio pubblico è pienamente e facilmente identificabile”.
Il suo tweet ha suscitato reazioni contrastanti, interpretato come un aiuto ai politici che vogliono querelare detrattori. “Sembra strano, in queste ore, trovarsi a rispondere a chi dice ‘eh ma no, così i politici potranno facilmente querelare chi li insulta!’, oppure a chi afferma che si ha democrazia solo se c’è anonimato. Mi chiedo a che punto della storia ci siamo ridotti così. Comunque la proposta è semplice: puoi aprire un profilo social solo se sei pienamente identificabile”. Con la possibilità di mantenere un nickname, cioè un alias che comunque dia la possibilità di mantenere l’anonimato.
“Nei media tradizionali è possibile – e sano – pubblicare lettere anonime, ma la redazione conosce la tua vera identità. Mi sfugge perché non dovremmo applicare lo stesso principio al web”.
Il peso dei social nella politica è un tema globale. Possibile affrontarlo solo in Italia? “È un po’ – cereris paribus – lo stesso problema della web tax. Per anni abbiamo detto, giustamente, che si poteva fare solo a livello internazionale. Intanto passavano gli anni e nessuno faceva niente, e i giganti del web hanno continuato a pagare le stesse tasse che paga il bar all’angolo. Poi Francia e Italia sono partite con normative nazionali, proprio in questi mesi. A volte certi processi hanno bisogno di forzature. Comunque sì certo, l’ambito ottimale di una normativa del genere è quantomeno europeo. Ma ciò non toglie che un Paese possa fare da apripista”.
Non meno complicati i problemi politici. C’è già una proposta firmata da Lucio Malan di Forza Italia simile a quella di Marattin. È un tema trasversale? “Ho visto la proposta di Forza Italia, è un tema che studio da tempo. Spero che su questo tema si possa discutere con serietà e spero si possa trovare il sostegno trasversale di chiunque è ancora affezionato all’idea che il web possa migliorare la qualità e la quantità della nostra democrazia, e non ridurla”.
Come verrà accolta la sua proposta dal Movimento 5 Stelle? “La loro è una forza politica nata sul web. Meglio di altri quindi, in teoria, dovrebbero essere pronta a difenderne la vera funzione e a prevenirne le tante conseguenze indesiderate (e pericolose) che abbiamo visto in questi anni”.