Il 15 aprile, Formiche.net ha promosso un appello per creare una no-fly zone sulla Libia per proteggere i civili e le infrastrutture del paese. Erano passati i primi dieci giorni dall’inizio della campagna di conquista che il signore della guerra della Cirenaica, Khalifa Haftar, aveva lanciato pensando che con uno scacco a Tripoli avrebbe potuto permettersi di prendere il Paese.
Formiche.net chiedeva al governo italiano di farsi promotore dell’iniziativa da giocare in ambito Nato (per proiezione e deterrenza l’istituzione internazionale più adatta allo scopo) a protezione anche della stabilità del governo tripolino, un esecutivo che muove le sue azioni sotto egida Onu e riconoscimento internazionale, che Haftar con la sua missione vorrebbe rovesciare.
A distanza di sei mesi l’appello apparso su queste colonne va rinnovato con determinazione. Il bilancio dell’aggressione haftariana è pesante: il caos della guerra scatenata non permette il conteggio effettivo delle vittime, che comunque hanno abbondantemente superato il migliaio, con il bilancio che si moltiplica per i feriti, e oltre centomila sono gli sfollati; il contesto critico ha riaperto spazi per il terrorismo. L’azione militare è in stallo, i fronti d’attacco e difesa si pareggiano, l’ossessione di Haftar (che sulla missione ha scommesso la faccia anche davanti agli interessi dei suoi sponsor esterni) aumenta l’aggressività.
Quello che ci insegnano certamente questi mesi di guerra è che gli attacchi aerei sono devastanti, l’assetto in campo che produce il maggior numero di vittime, soprattutto tra i civili. Nei giorni scorsi, in un’escalation che segue queste ultime settimane di estrema difficoltà per Haftar, le forze fedeli al capo miliziano dell’Est hanno colpito nuovamente gli aeroporti di Tripoli e Misurata. Attacchi che hanno interessato aree ad uso civile.
L’ambasciata italiana in Libia, forza delle relazioni che il nostro Paese vanta nel territorio, ha diffuso ieri un comunicato per condannare queste azioni. Val la pena ricordare che a Misurata, città-stato che difende politicamente e militarmente il governo onusiano della capitale, proprio all’interno del perimetro dell’aeroporto bombardato da Haftar, si trovano circa 300 militari italiani: equipe mediche e di sicurezza che gestiscono un ospedale da campo che compie sui civili libici interventi di qualità avanzata.
L’appello per promuovere un controllo, o meglio un blocco, dei cieli libici ai velivoli militari a questo punto, dopo mezzo anno di guerra, allora non diventa più solo un afflato di carattere sicuritario per evitare l’aumento delle vittime, ma si consolida come una necessità che il governo di Roma deve spingere con decisione per ragioni di interesse nazionale. Cosa potrebbe succedere se una di quelle bombe, il cui bersagliamento non è sempre dei migliori, finisse sopra le strutture italiane?