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Abiy Ahmed Ali, un Nobel per la pace a sorpresa? Fino ad un certo punto

Con il conferimento della massima onorificenza ad Abiy Ahmed Ali, il premier dell’Etiopia che ha promosso, negoziato e firmato l’accordo di pace con l’Eritrea nel 2018, il Nobel per la pace viene assegnato ad una causa autenticamente geopolitica, e non ritenuta una sfida globale.

La scelta di un tema di internazionalismo regionale corrisponde ad una tendenza ormai consolidata nel corso degli ultimi anni: l’alternanza nell’attribuzione del riconoscimento, da una parte, a soggetti attivi in ambiti tematici rilevanti per il sistema globale (nel 2013 all’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, nel 2014 a Kailash Satyarthi e Malala Yousafzai per la loro lotta contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all’istruzione, nel 2017 alla Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, nel 2018 a Denis Mukwege e Nadia Murad per i loro sforzi per mettere fine alle violenze sessuali nei conflitti armati e nelle guerre), dall’altra ad organizzazioni, gruppi ed individui che si siano distinti per la propria capacità di portare pace in specifici contesti nazionali (l’Ue nel 2012, il Quartetto per il dialogo nazionale tunisino nel 2015, Juan Manuel Santos per la sua azione contro la guerra civile in Colombia nel 2016).

Nelle parole della motivazione del Comitato il massimo riconoscimento internazionale è stato assegnato al leader politico etiope “per i suoi sforzi per raggiungere la pace e la cooperazione internazionale, e in particolare per la sua decisiva iniziativa per risolvere il conflitto di confine con la vicina Eritrea”. Un percorso di pacificazione concreto e ancorato a negoziati specifici e con possibili esiti sulle condizioni, non solo di pace ma anche di sviluppo di una parte importante dell’Africa, troppo a lungo insanguinata da conflitti per questione di confini.

Il Comitato per l’assegnazione dei Nobel, con questa scelta, ha preferito concentrarsi sul significato concreto del portare la pace in un contesto specifico e localizzato del mondo. Si sono così evitate possibili polemiche sulla circostanza che una tematica ambientale possa essere valutata in termini pacifisti. Una decisione significativa, in un momento in cui la pressione mediatica su Greta Thunberg, la giovanissima ambientalista di Fridays for Future, appariva massima.

Il Comitato per il Nobel norvegese ha quindi prevenuto critiche ed obiezioni legate alla giovane età di Greta, alla (ancora) limitata esperienza del suo attivismo ambientalista, alla tuttora non completa ricaduta, in termini di impatto dei Fridays for Future. La pace è un processo fatto di fasi, vittorie, sconfitte, incontri e raffronti, cui la giovane Greta ha solo ora iniziato a confrontarsi. Chissà se un anno in più di battaglie ambientali le consentiranno di ricevere l’ambito riconoscimento. Nel frattempo, il fatto che il Nobel per la pace sia andato a chi ha lottato per superare le guerre legate alle frontiere tra Stati, richiama alla mente la famosa frase del poeta Gibran: “Se ti sedessi su una nuvola non vedresti la linea di confine tra una nazione e l’altra, né la linea di divisione tra una fattoria e l’altra”. La scelta di Oslo suggerisce di guardare al Corno d’Africa in questa prospettiva.


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