È il vero motivo della tappa romana di Mike Pompeo, il segretario di Stato Usa fedelissimo del presidente Donald Trump approdato oggi nella capitale nell’ambito di un tour europeo. Sulla visita alla Santa Sede in programma domani mattina ci sono gli occhi puntati della Casa Bianca. Pompeo incontrerà papa Francesco, il segretario di Stato cardinale Pietro Parolin e l’arcivescovo Paul Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati. Cina, Venezuela, Siria, migranti, ambiente, tanti i temi caldi sul tavolo. E non poche le distanze da colmare per spianare il terreno a una prossima visita di Trump in Vaticano. Fra lui e papa Francesco, spiega a Formiche.net Pasquale Annicchino, senior research associate del Cambridge Institute on Religion & International Studies dell’Università di Cambridge, c’è “una differenza antropologica”.
Quale?
La biografia del papa parla chiaro, da sempre si relaziona con difficoltà con la destra conservatrice americana. Sembra in effetti che gli ideatori della fronda interna contro Francesco abbiano il loro quartier generale negli Stati Uniti.
Esagera chi parla di uno scisma in corso?
Diciamo che è in corso un conflitto fra due diverse concezioni del mondo. Il cattolicesimo conservatore americano, che ha un peso importante nella base repubblicana e nell’intellighenzia dell’amministrazione Trump, ha digerito a fatica alcune aperture del papa, a partire dal dialogo avviato con la Cina.
Esiste un terreno comune per un dialogo fra quest’amministrazione americana e la Santa Sede?
La libertà religiosa. Il mandato di Pompeo è stato segnato da un’attenzione puntuale al tema. Anche Trump lo ha sottolineato di recente, quando all’Assemblea generale dell’Onu ha dato forfait al meeting sul clima per organizzare un evento parallelo con Pompeo, Mike Pence e tutto lo stato maggiore dell’amministrazione.
Come si spiega?
Ci sono diversi motivi. Il più ovvio ha a che vedere con la constituency elettorale di Trump. La destra conservatrice e religiosa americana che lo ha sostenuto nel 2016 ci tiene molto. Poi ci sono ragioni geopolitiche, a iniziare dalla questione cinese. Pochi giorni fa il Senato statunitense ha fatto approvare all’unanimità l’Uygur Human Rights Policy Act, una legge che sanziona tutti i cinesi che si sono resi partecipi delle persecuzioni della minoranza musulmana degli uiguri nella provincia dello Xinjang.
Veniamo alla visita di Pompeo. Quali sono le priorità sul tavolo?
Come accennavo da mesi fra Casa Bianca e Santa Sede è in corso un dialogo sulla libertà religiosa. Pompeo ha perfino istituito un board all’interno del Dipartimento di Stato presieduto dall’ex ambasciatrice americana presso la Santa Sede Mary Ann Glendon con l’obiettivo di rileggere le dichiarazioni internazionali sui diritti umani alla luce del diritto naturale. Ovviamente il segretario di Stato non parlerà solo di questo.
E di cos’altro?
Rimane in sospeso la questione del Russiagate e del cosiddetto “spygate”. La scorsa settimana il procuratore generale William Barr è stato a Roma e ha visto membri dell’intelligence. Una parte dell’amministrazione Trump ha urgente bisogno di informazioni su quella vicenda.
Perché la Santa Sede ha accettato l’incontro con il capo della diplomazia Usa?
Come insegnano secoli di diplomazia vaticana la Santa Sede non chiude mai le porte a nessuno. In qualsiasi scenario di crisi, specialmente in quello cinese, gli Stati Uniti rimangono un interlocutore imprescindibile.
Pompeo incontrerà fra gli altri il segretario di Stato cardinale Pietro Parolin, già nunzio apostolico a Caracas. Sulla crisi venezuelana c’è margine di intesa?
Non c’è perfetto allineamento su questa e tante altre questioni, più sul metodo che sulla sostanza. Il perno del dialogo rimarrà lo stesso. Come annunciato da Pompeo a luglio durante la ministeriale internazionale per la libertà religiosa, il Dipartimento di Stato vuole lanciare un’alleanza transnazionale per la promozione del diritto alla libertà religiosa.
A proposito di libertà religiosa, rimane il nodo dei cristiani in Siria.
In Siria la Santa Sede ha cercato altre sponde e promosso il dialogo con la Russia. In Medio Oriente come in Africa assistiamo a un lento disengagement degli americani, complice la difficoltà a capire e dialogare con queste società. Lo stesso discorso si può fare per la Cina. Un’azione internazionale coordinata con il Vaticano ha più chance di successo.
Nel suo tour europeo Pompeo tornerà sulla vicenda Ucraina. Il Dipartimento di Stato si è apertamente espresso a favore dell’autocefalia della Chiesa ortodossa ucraina, la Santa Sede è stata per ovvie ragioni molto più cauta.
Alcuni, a cominciare da Vladimir Putin, sostengono che la diplomazia statunitense abbia avuto un ruolo nello scisma. La Santa Sede continuerà a bilanciare la posizione americana meno favorevole al desiderio russo di un monopolio della chiesa ortodossa e le istanze della chiesa ortodossa russa, che ha sempre percepito l’Ucraina come una estensione della provincia russa. La questione ucraina dimostra la rilevanza diplomatica del tema religioso oggigiorno, esattamente come il crescente nazionalismo hindu in India o l’evangelismo conservatore in Sud America.
Manca poco all’apertura del sinodo per l’Amazzonia. Anche su questo c’è un muro insormontabile fra la Casa Bianca e San Pietro?
La storia ci ha insegnato che i muri quasi mai sono insormontabili. Certamente costituisce un punto di frizione importante, non solo a livello diplomatico ma all’interno del cattolicesimo. È evidente che i cattolici statunitensi hanno accolto con molta freddezza l’iniziativa.