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La Via della Seta cinese è anche spaziale. E il Congresso Usa si mobilita

La nuova Via della seta arriva fino allo Spazio. Percorrendola, la Cina vuole sostituire gli Stati Uniti anche oltre l’atmosfera. L’avvertimento arriva dall’ultimo report della Us-China Commission, la commissione del Congresso americano istituita nel 2000 per monitorare i rischi per la sicurezza nazionale derivanti dalla crescita del Dragone d’Oriente. Il rapporto invita l’amministrazione di Donald Trump a essere più attiva nel contrasto all’attivismo di Pechino in ogni campo, dall’esplorazione (che punta a Luna e Marte) alla New space economy (visti i copiosi sussidi pubblici alle aziende cinesi), fino alle alleanza internazionali. Qui l’avvertimento è rivolto anche agli alleati con fascini orientali, Italia compresa: la Cina punta a dominare un nuovo ordine spaziale.

I PIANI CINESI PER SPACE ECONOMY…

“Il governo e le forze armate cinesi sono determinati a raggiungere obiettivi ambiziosi per una leadership spaziale, se non un dominio assoluto”, si legge nel rapporto. “La Cina ha legato il proprio programma spaziale con alle più ampie ambizioni di diventare leader terrestre nel potere politico, economico e militare”. Di più, “Pechino mira a stabilire una posizione di leadership nella futura economia spaziale e a catturare importanti settori dell’industria commerciale, compresa la promozione del suo comparto nazionale attraverso partenariati in quella che ha definito la Via della seta spaziale”. Per la prima volta, infatti, il quadro delle attività che preoccupano Capitol Hill copre persino la New Space Economy, la nuova economia dello Spazio nata negli States con la preponderante presenza degli attori privati. Secondo la Us-China Commission, Pechino è “ben posizionata per assumere un ruolo di comando nella futura economia space-based, visti i passi in avanti per dominare i settori dei lanci globali commerciali e dei satelliti compiuti attraverso i generosi sussidi e altre vantaggi”.

…E ALLEANZE

C’è poi l’avvertimento sul ruolo di leadership su scala globale. Secondo il rapporto del Congresso, la Cina è a lavoro per erodere la solidità delle partnership internazionali create da decenni dagli Stati Uniti nel campo spaziale. L’esempio più evidente sarebbe la Tiangong-3, la terza stazione spaziale su cui Pechino sta cercando di coinvolgere diversi Paesi (Italia compresa, soprattutto per la cupola e moduli abitativi). È un progetto per molti versi simili alla Stazione spaziale internazionale (Iss), l’avamposto attualmente in orbita con al comando Luca Parmitano. Non a caso, la Us-China Commission invita l’amministrazione Trump a partecipare “attivamente” al rafforzamento della “governance istituzionale internazionale” e a potenziare “le partnership” nel settore.

LA RISPOSTA AMERICANA

Poi ci sono i timori più strettamente militari. La Cina ha acquisito da tempo capacità anti-satellite (Asat) che preoccupano il Pentagono. Associate a tutte le altre attività, esse hanno indotto la Commissione del Congresso a presentare richieste concrete al nuovo Us Space command e alla nascente Space Force, di fatti abbracciando in toto la spinta di Trump alla militarizzazione dello spazio. Il presidente ha inaugurata lo SpaceCom a fine agosto. Dotato inizialmente di circa 90 unità, alle dirette dipendenze del capo del Pentagono, rappresenta l’undicesimo comando unificato degli Stati Uniti, combatant e operativo, specificatamente dedicato alle attività militari nello spazio. Sarà autonomo rispetto alla futura Space Force, la sesta forza armata degli Stati Uniti che è ancora oggetto di dibattiti oltreoceano. Essa dovrebbe configurarsi come forza alle dipendenze dell’Usaf, alla stregua del corpo dei Marines all’interno della Us Navy. L’obiettivo di tali impegni è comunque da sempre stato presentato come la risposta all’attivismo di Cina e Russia nel campo, denunciato da tutti i vertici americani e in ogni documento strategico dell’amministrazione Trump.

DALLA LUNA A MARTE

Le ambizioni cinesi sono d’altra parte complete. I piani spaziali sono stati presentati al mondo intero lo scorso aprile, quando il China’s Space Day è andato in scena nella città di Changsha, nel cuore del Dragone rosso. Ancora prima, all’inizio dell’anno, la sonda Chang’e 4 si era posata, per prima nella storia dell’esplorazione spaziale, sul lato nascosto della Luna. La successiva missione lunare (Chang’e 5) partirà il prossimo anno con l’obiettivo di raccogliere e riportare a Terra dei campioni di superficie lunare. Per la loro conservazione, a dimostrazione della rilevanza che la Cina attribuisce alle sue aspirazioni extra-atmosferiche, si è scelto un luogo simbolico: Shaoshan, città natale di Mao Zedong. Per le tappe successive mancano ancora i dettagli, ma per ora i vertici spaziali puntano a far arrivare sulla Luna i primi taikonauti nel giro di “circa dieci anni”. Si punta poi a Marte (con un programma spaventosamente simile a quello Usa), con il lancio della prima sonda cinese previsto anch’esso per l’anno prossimo.

I LANCIATORI

Altrettanto ambizioso è il programma relativo ai lanciatori. La capacità di avere accesso autonomo allo Spazio è prerogativa indispensabile per chi aspira a divenire potenza spaziale Il programma è denominato Lunga marcia (Chang Zheng). Tra gli obiettivi più rilevanti c’è l’esponente numero 9 della famiglia: un vettore super-pesante pensato per l’esplorazione umana della Luna e, in prospettiva, di Marte. Parallelamente, prosegue lo sviluppo del vettore medio Lunga Marcia 8, che invece potrebbe avere un primo stadio riutilizzabile proprio come i famosi lanciatori di SpaceX. Già tre anni fa hanno fatto il loro debutto gli esponenti pesanti della famiglia, 7 e 5, inaugurando tra l’altro la base di Wenchang, sull’isola di Hainan lungo la costa sud del Paese.

IL PALAZZO CELESTE

L’esplorazione inizia comunque dalle orbite più vicine alla Terra, ed è per questo che Pechino ha da tempo in cantiere la Tiangong-3, il terzo palazzo celeste cinese che, con i primi moduli in rampa di lancio per l’anno prossimo, potrebbe essere operativo nel 2024. È destinato a ospitare permanentemente taikonauti a bordo, seguendo le orme delle due precedenti stazioni. La prima, si ricorderà, è caduta rovinosamente a terra (non senza generare diverse apprensioni) a Pasqua dello scorso anno, mentre il secondo (Tiangong-2) è stato lanciato nel 2016 e ha ospitato già quell’anno gli astronauti Jing Haipeng e Chen Dong, tornati sulla Terra dopo oltre un mese in orbita.

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