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Khamenei imbavaglia gli iraniani, ma continua a twittare. La lettura di Frattini (Sioi)

L’Iran, il Golfo e il Medio Oriente: regione nevralgica quanto turbolenta, delicata e complessa. Le manifestazioni per le strade della Repubblica islamica in questi giorni sono un elemento centrale del momento, che si allineano a qualcosa di simile visto in Iraq e Libano. Altre tensioni con sullo sfondo l’aumento del confronto tra il blocco saudita e l’internazionale sciita che Teheran ha tentato di creare.

Cosa sta succedendo? “Lo scontro tra i due blocchi si sta intensificando, con Riad che ha molti meno problemi a giocare influenza e l’Iran che si sente costretto a costruire quelle penetrazioni regionali attraverso attori proxy”, spiega a Formiche.net Franco Frattini, tra i tanti ruoli ricoperti, presidente della Sioi, già ministro degli Esteri.

Repressioni e morti: la teocrazia iraniana ha per il momento spinto per schiacciare le proteste, ma cosa c’è dietro alle dimostrazioni di questi giorni scatenate dagli aumenti del carburante alla pompa? “Questa decisione di riduzione dei sussidi sul carburante è uno dei casi non frequenti in cui personalmente Ali Khamenei (la Guida Suprema, l’apice del sistema teocratico iraniano, ndr) ha seguito, si è interessato e si sta interessando alla situazione. Differentemente dalla norma in cui la Guida non è mai troppo coinvolta direttamente. Dalle sue dichiarazioni si comprende che la sua attenzione è molto forte”.

“D’altra parte — aggiunge l’ex ministro — si è capito che una buona parte del Parlamento iraniano aveva chiesto di aiutare le categorie più deboli prima di far entrare in atto questa decisione. C’era dunque la sensazione che si potesse scatenare qualcosa, ma ciò nonostante sia la Guida sia la presidenza sono andate avanti”.

Perché? Cosa ha portato la leadership iraniana a spingere, con la forza e la mano pesante, col rischio di attirarsi addosso vari riflettori? “Khamenei non è la prima volta che fa appello alla riduzione dello spreco energetico. La ritiene una necessità. Dal 2014 la Guida ha sempre sostenuto il dovere di limitare l’uso di automobili e carburante, secondo alcuni dati l’Iran ha un consumo pro-capite di energia superiore di diverse volte a quello della Turchia, per esempio, che è un paese molto più avviato”.

Ma non è l’impronta verde della Guida a produrre questa necessità, giusto? “Khamenei sa da tempo che le sanzioni creano per l’Iran la possibilità concreta di dover importare carburante. Una cosa assurda per un paese produttore, ma che può diventare reale. L’Iran sta perdendo la sua autosufficienza energetica, le misure sanzionatorie lo hanno bloccato anche dal punto di visto dell’importazione delle tecnologie estrattive”.

“Per questo Khamenei chiede di limitare i consumi. Bisogna capire la storia di queste misure dunque — aggiunge Frattini — e leggere i motivi di questo impegno personale della Guida, seguito nonostante gli dicessero di fare prima misure compensative anche dal parlamento conservatore“.

Poi c’è anche il contesto pre-elettorale ad avere un peso? “È un’altra cosa importante da ricordare: nella primavera del prossimo anno ci sono le elezioni. Le forze si stanno posizionando, certamente. Sebbene questa protesta è senza una forza dietro, senza leader, non è pilotata. In questo è del tutto simile a quelle in Iraq e Libano. Gli iraniani, come iracheni e libanesi, ce l’hanno con l’intero establishment. Non a caso la prima mossa attuata dal regime è stata bloccare Internet, i social, perché Khamenei sa bene come le Primavere Arabe si sono sviluppate”.

Sigillare Internet per impedire che le informazioni su quel che succede escano creando anche un effetto contagio… “Noi dall’Occidente non abbiamo un’idea completa di come accadano le cose, perché abbiamo solo due voci. I dissidenti, con parenti sul posto, che riferiscono di proteste oceaniche. Poi abbiamo le analisi delle ambasciate, che danno invece una immagine di moderazione. La cosa certissima è che non sarà questo che farà cadere il regime“.

A proposito di Iraq e Libano, occasione per allargare la riflessione: a Beirut e in diverse città irachene abbiamo visto proteste che riguardavano anche l’Iran, il piano di penetrazione in altri Stati della regione, giocato attraverso proxy politico-militari strutturati sul modello dei Pasdaran. Finora ha retto forse, ma adesso? “Adesso, e lo vediamo in un Paese come l’Iraq, questa infiltrazione, lì molto forte, non è affatto gradita. Ricordiamo che alle ultime elezioni irachene il chierico-politico sciita Moqadta al Sadr, un tempo molto collegato agli ayatollah iraniani, ha vinto le elezioni con un motto semplice: fuori gli iraniani dall’Iraq”. Lo stesso che i ragazzi iraniani ripetono in queste settimane… “Nessuno apprezza più questa ambizione da potenza regionale, ma l’Iran continua ad averla perché se perde la presa sa che l’Arabia Saudita ha campo libero. Perché i sauditi hanno molto meno problemi a giocare influenza”.

Un ruolo abbastanza attivo, o proattivo, in queste proteste lo stanno avendo gli  Stati Uniti. Washington ha detto di essere dalla parte dei cittadini iraniani. Il dipartimento di Stato, che ha sanzionato il ministro iraniano della Tecnologia e delle Telecomunicazioni  (Jazari Jahromi, un politico giovane e in realtà piuttosto apprezzato in Iran), sta chiedendo la riapertura di Internet; il segretario di Stato, Mike Pompeo, ha chiesto ai manifestanti iraniani di inviare i loro video, foto e informazioni che documentano la repressione del regime nei confronti dei manifestanti così che gli Usa “possano esporre e sanzionare gli abusi”.

Secondo Frattini è una posizione “abbastanza naïf”: “Gli americani non comprendono che così facendo rischiano di danneggiare gravemente i manifestanti e gli oppositori, perché in Iran se c’è una cosa che mai, malgrado i cambiamenti dei regimi, non è mancata è l’orgoglio nazionale. Loro si sentono grande potenza, discendono dalla Grande Persia, e questa è l’unica cosa su cui non si può fare leva. Non a caso sia il governo che la Guida fanno ruotare la retorica per disinnescare le proteste dicendo che sono le forze straniere che vogliono mettere in crisi il messaggio khomeinista”.

“Forse — aggiunge l’ex ministro italiano — gli Stati Uniti però potrebbero prendere posizioni forti, basterebbe un gesto netto ma altamente simbolico: far in modo di oscurare il profilo Twitter di Ali Khamenei. Andare sul concreto mettendolo a tacere per via delle repressioni. Perché, paradosso dei paradossi, il regime ha imbavagliato i suoi cittadini, ma mentre cerca di soffocare le proteste, Khamenei continua a twittare la sua linea”.


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