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Ilva, ecco le proposte sul tavolo del vertice tra Conte e Mittal

Si svolge oggi l’incontro fra il presidente del Consiglio Conte e il vertice di Arcelor Mittal per tentare di avviare a soluzione le complesse questioni  che hanno portato il gruppo franco-indiano all’istanza di recesso dalla locazione del compendio impiantistico dell’Ilva e i commissari a loro volta ad adire i tribunali di Milano e Taranto per opporsi con ricorsi urgenti e altre azioni legali a tale proposito.

Nei giorni scorsi incontri riservati si sono svolti fra il ministro Patuanelli e rappresentanti degli attuali gestori focalizzati in buona misura su ripristino dello scudo penale ed esuberi che Mittal quantifica in 5.000 unità. Il governo, se la holding siderurgica rispettasse il contratto, sarebbe disponibile a reintrodurre uno scudo penale ma non ad aziendam – comunque necessario per chiunque operasse a Taranto – mentre per gli esuberi potrebbe ritenerne gestibili non più della metà di quelli voluti dal magnate indiano che affiancherebbe con una partecipazione pubblica nella AmInvestco Italy, riducendogli anche il canone di affitto e di conseguenza il prezzo dell’acquisto.

Se questi dunque sono per sommi capi i termini essenziali del confronto che si preannuncia serrato e (forse) anche aspro, si pone subito una prima questione: come si può parlare di esuberi se non si stabilisce preliminarmente a quale scala di grandezza deve attestarsi la capacità produttiva del sito di Taranto, che sembrerebbe essere quello più interessato a possibili riduzioni di organico? Su questo punto che, a mio avviso, è dirimente, non possono esservi ambiguità: il Siderurgico ionico deve essere ancorato ad una soglia minima di 8 milioni di tonnellate di acciaio primario all’anno, una volta terminati i lavori per l’Aia che non consentono di superare per tutto il periodo della sua durata i sei milioni di tonnellate annue.

Invece attestare strutturalmente il sito ad un livello nettamente inferiore e pari a di 4,5-5 milioni all’anno significherebbe adeguarlo solo al suo attuale trend di mercato, privandolo così della possibilità di partecipare ad una fase di rilancio della domanda che si stima possa verificarsi dal secondo trimestre del 2019.

Già oggi vi sono 1.700 esuberi in cassa integrazione con l’amministrazione straordinaria e nell’accordo del 6 settembre 2018 fra governo, azienda e sindacati si stabilì un tetto di 10.700 addetti, di cui poi 8.277 sono impiegati oggi a Taranto, ove peraltro 1.295 sono in cigo per crisi di mercato, ma senza essere considerati esuberi strutturali. Arcelor Mittal – che per disposizioni di Bruxelles ha dovuto cedere altri suoi impianti in Europa per compiere l’operazione Ilva – può pensare di ridurre stabilmente le sue capacità sul mercato dell’Unione, come peraltro starebbe facendo in Sud Africa e in altri Paesi?

La gestione del gruppo italiano oggi in locazione certo non può continuare in perdita e fra l’altro bisognerebbe verificare se il management impegnato nell’esercizio soprattutto dell’impianto ionico abbia lo standing più idoneo ad assicurare almeno un pareggio operativo. Dirigenti del primo produttore di acciaio al mondo hanno mai diretto un sito grande come quello di Taranto? Inoltre il piano ambientale deve essere completato – come avvenuto con la copertura del primo parco minerali – e le manutenzioni ordinarie e straordinarie devono assumere dimensioni e cadenze temporali di attuazione di proporzioni pari alle emergenze che ogni giorno si registrano in fabbrica.

Allora, per sostenere lo sforzo del partner privato in un comparto come il siderurgico e in uno stabilimento che è stato classificato sin dal dicembre 2012 di “interesse strategico nazionale” il governo potrebbe e dovrebbe schierare risorse pubbliche o tramite una partecipazione del ministero dell’Economia o della Cassa depositi e prestiti che non entrerebbe nella AM Investco Italy se prima non se ne azzerassero le perdite registrate sino al 31 ottobre. Peraltro non si comprende perché la Cdp non possa entrare per vincoli statutari in una società in perdita, e il Mef – che amministra danaro del contribuente italiano – invece sì. A nostro avviso, l’ingresso di nuovi soci nel capitale della società di gestione dovrebbe comunque essere preceduto da un azzeramento delle perdite da parte del suo azionista di maggioranza.

Circa poi gli investimenti del “cantiere Taranto” essi potrebbero partire indipendentemente dall’esito della trattativa con Arcelor: diversificare e creare nuova occupazione nel capoluogo bimare è impellente. Da dove partire? Dal piano di sviluppo strategico della Zes: ruolo trainante di Eni, Leonardo, Fincantieri e Gruppo Fs; investimenti in raffineria già previsti, generazione di energie rinnovabili e costruzione di tecnologie per consentirla, come già accade con le pale della Vestas; impegno di Saipem Engineering&Construction, che ad oggi ha ordini per 14,4 miliardi di cui 12,1 onshore e 2,3 off-shore; massicci investimenti nell’agroalimentare anche con big player settentrionali, esteri, privati e cooperativi: la Orogel, ad esempio, è già presente a Policoro con coltivazioni su 900 ettari e uno stabilimento. E soprattutto elevata managerialità nella promozione delle attività di diversificazione: gli uomini di buona volontà devono essere anche di talento. Ce lo insegna l’arcivescovo di Taranto monsignor Santoro.

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