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Perché in Iran divampa la protesta contro Khamenei e la teocrazia

“Il nostro problema non è l’aumento della benzina. Il nostro problema è la diminuzione costante della libertà”. Dall’Iran, prima che il governo decidesse del tutto di spegnere Internet, arrivavano questi messaggi. Un commento discreto sulle nuove proteste esplose ieri, coperto dall’anonimato perché i rischi di ritorsioni delle autorità sono dietro l’angolo.

Dal pomeriggio di sabato il governo ha deciso di “chiudere Internet”, perché non gradisce che si parli e si veda ciò che sta succedendo — ci sono stati già diversi morti. E perché teme che più le informazioni circolano e meno si possa contenere l’effetto contagio. A gennaio dello scorso anno era successo qualcosa di simile.

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In Iraq, Teheran ha provato a contenere direttamente le manifestazioni che da settimane infuocano le città di uno stato che la Repubblica islamica considera vassallo. Ma le visite del generalissimo Qassem Soleimani per gestire le dimostrazioni non sono bastate, nonostante la repressione abbia prodotto già diverse centinaia di morti. In Libano idem, l‘Iran ci ha provato — attraverso la controllata Hezbollah — a minacciare chi manifestava, ma senza successo; e la forza dirompente di “Bella Ciao” sparata su base techno per le vie di Beirut è già una specie di tormentone globale.

La potemmo definire manifestazioni anti-governative, ma chi va in strada — col rischio di finire vittima della repressione — ce l’ha col sistema politico e le sue scelte.  “No Gaza, no Libano, sacrifico la mia vita per l’Iran”: il grido sovranista che i cittadini iraniani cantano mentre danno fuoco alle effigi di Ali Khamenei, la Guida suprema, spiega da sé perché l’aumento sul carburante s’è portato dietro tanta rabbia.

Gli iraniani soffrono la disparità tra l’idea della teocrazia e dei suoi Bravi (i Pasdaran del generale Soulimani) e le condizioni nel paese. I primi pensano all’Iran come a una potenza, investono soldi in programmi militari — per esempio quello nucleare — e finanziano all’estero la diffusione della propria influenza attraverso gruppi controllati. Quelli come Hezbollah in Libano o altri partiti/milizia in Iraq. L’Iran li usa per penetrazioni profonde che possano rendere gli altri paesi dei satelliti con cui Teheran può cavalcare ambizioni gropolitiche di controllo regionale. I cittadini libanesi e iracheni non accettano più queste presenze sovranazionali che limitano con l’ideologia iraniana là sovranità di governi e forze politiche locali. Gli iraniani detestano l’idea di avere una tale forza internazionale nel Medio Oriente, in grado di impensierire i nemici (Riad, Gerusalemme, Washington), senza avere in casa condizioni di vita sufficienti.

E sono proprio queste ambizioni giocate attraverso  vettori rappresentati dalle milizie sciite ultra-ideologizzate (alcune classificate come gruppi terroristici) che hanno prodotto, insieme alla corsa agli armamenti (i missili, l’Atomica), il peggioramento delle condizioni di vita in Iran. Molto legato negli ultimi mesi alla reintroduzione delle sanzioni Usa (connesso a quanto apoema scritto), ma questione già precedente.

Una sorta di indirizzo della spesa pubblica che privilegia lo status internazionale alla tutela dei cittadini. Gli ayatollah aiutano più i gruppi terroristici anti-semiti che controlla la Striscia di Gaza (Hamas e Jihad islamica), che noi, dicono dalle piazze iraniane. “Non vogliamo la Repubblica islamica”, cantano i manifestanti. “Non abbiamo altro da perdere che le nostre catene”, hanno scritto su un muro. Si mescolano sentimenti e necessità, visioni e oppressioni. La teocrazia per chi protesta è vista come un giogo che cerca con l’ideologia il lavaggio del cervello dei propri cittadini. Li porta ad accettare condizioni di vita peggiori sacrificati per la grandeur sciita.

”Col sangue e con l’anima ci sacrificheremo per l’Iraq”, cantavano i giocatori della nazionale di calcio irachena dopo aver battuto l’Iran. “Sciiti e sunniti sono fratelli”, un grido contro le visioni ideologiche settarie che la teocrazia iraniana diffonde in Medio Oriente con un sistema che sta andando in crisi, che molti cittadini non vogliono e in cui tanto non credono più.

E la propaganda non basta. Una settimana fa esatta, il presidente iraniano Hassan Rouhani annunciava la scoperta di un enorme giacimento di petrolio, venerdì l’aumento della benzina che ha scatenato le proteste. Ironia della sorte, data per vera la scoperta, Rouhani non potrà mai usare quel petrolio se non riuscirà ad affrancarsi — lui che è stato votato per due mandati perché moderato — dalle linee dure della teocrazia. Quelle che hanno spinto sulla geopolitica aggressiva e prodotto l’isolamento che non permette all’Iran di vendere i suoi beni (causa sanzioni) e soddisfare i propri cittadini. “Le persone orgogliose dell’Iran non tacciono sugli abusi del loro governo“, ha detto il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo: gli Stati Uniti sono con voi, ha twittato riprendendo un suo messaggio di luglio 2018, quando c’erano state altre proteste.

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