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Mahdi non regge i morti di Najaf e Nassirya. Il premier iracheno si dimette

Il premier iracheno Abdel Abdul Mahdi lascia. Non ha retto l’ultima l’ultima ondata di proteste che tra le varie cose ha colpito Najaf, città simbolo del culto sciita dove i manifestanti hanno lanciato molotov contro il consolato iraniano, incendiandolo. Mahdi paga un’azione di governo debole, che non protegge le fasce basse e intermedie della popolazione, che lascia i giovani senza futuro, con una corruzione endemica, la disoccupazione altissima, e che viene percepita sussidiaria di Teheran (il governo Mahdi ha ottimi rapporti con l’Iran, e Teheran ha interesse a tenerlo vivo per mantenere influenza e presa sul paese e sulla regione).

“Ho ascoltato molto attentamente il discorso della suprema autorità religiosa”, ha scritto il premier in una dichiarazione in cui ha citato l’appello dell’ayatollah Al Sistani al Parlamento, con cui il chierico più importante dell’Iraq ha chiesto ai partiti di lasciare il governo. “In risposta alla sua richiesta e per velocizzare il più possibile il processo, presenterò alla Camera dei rappresentanti una lettera ufficiale con le mie dimissioni dalla guida dell’attuale governo così che il parlamento possa riconsiderare le proprie scelte nell’interesse supremo del popolo e del paese”, ha dichiarato Mahdi.

Sistani ha parlato stamattina, quando la conta dei morti per le ultime proteste era salita ancora. Persone uccise dalla repressione delle forze di sicurezza, dove il termine include sia la polizia, ma sopratutto gli uomini delle milizie sciite coordinate dall’Iran, i corpi parastatali dove le armi si mixano alla politica e alle varie aree del potere iracheno: entità molto dipendenti dai Pasdaran, formalmente integrate anche nelle unità di sicurezza di Baghdad dopo la battaglia contro l’IS.

A Nassiriya, nel sud sciita dove è nata la protesta, ieri è stato aperto il fuoco sulla folla che bloccava un ponte e 33 persone sono rimaste uccise e oltre duecento ferite. Il bilancio totale pubblico di queste tre settimane di proteste segna 408 uccisioni, migliaia di feriti. Quello che è successo nella cittadina della provincia meridionale Dhi Qar è emblematico: da mercoledì la polizia locale è stata affiancata dall’esercito (e secondo rumor da unità delle milizie) perché non riusciva a bloccare le proteste. Giovedì mattina le forze di sicurezza si sono presentante con dei bulldozer per forzare le barricate create in strada dai manifestanti, che hanno attaccato. A quel punto su di loro è stato aperto il fuoco.

Un’immagine non sostenibile, che ha portato Sistani alla denuncia del governo. Da notare che il governatore locale s’era già dimesso giovedì sera, in aperto disaccordo con la forzatura repressiva. Contraltare dall’Iran, dove il giorno precedente dell’azione violenta a Nassiriya, i media di stato hanno accusato il governo iracheno di essere stato troppo morbido con le dimostrazioni in strada, tanto da aver permesso ai manifestanti di bruciare il consolato di Najaf.

Dopo la prima ondata di proteste, Mahdi aveva già annunciato di volersi dimettere, anche perché il suo esecutivo aveva un appoggio politico debolissimo, con uno dei player parlamentari più influenti, Moqtada al Sadr (ora molto critico dell’Iran) che aveva cercato di spostare le stampelle del governo. In particolare c’era stato un contatto positivo con  Hadi al Amiri, capo della Badr Organization, milizia filo-iraniana che è anche la seconda forza politica del paese. Poi, in base ad alcune ricostruzioni giornalistiche, c’era stato un intervento diretto del capo delle Quds Force, l’unità d’élite dei Pasdaran, Qassem Soulimani, a tenere bloccato lo status quo e a far cambiare idea ad Amiri. Secondo le ricostruzioni, per due volte Soulimani è volato a Baghdad da quando sono iniziate la manifestazioni a ottobre: una volta per tenere incontri con le varie forze politiche al posto dei funzionari del governo (in particolare con Amiri), un’altra sostituendo il premier in una riunione con i vertici della sicurezza.

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