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Così sui migranti la Cassazione “aiuta” Salvini. L’analisi di Vespa

La Corte di Cassazione ha dato ragione a Matteo Salvini sui limiti entro i quali si può concedere il permesso umanitario al migrante e, avendo deciso a Sezioni unite dopo pronunce di orientamento diverso, inoltre ha stabilito definitivamente che il primo decreto sicurezza non può essere retroattivo e dunque non può essere applicato alle domande presentate prima del 5 ottobre 2018, data dell’entrata in vigore. La Corte ha accolto il ricorso del Viminale nel quale si sosteneva che i permessi non possono essere concessi considerando solo l’integrazione e che invece va definita la “speciale compromissione” dei diritti umani nel Paese di provenienza. I giudici, dunque, hanno deciso che non è sufficiente essersi inseriti socialmente ed economicamente. L’ex ministro dell’Interno ha definito la sentenza “la migliore risposta agli ultrà dei porti aperti e che vorrebbero cancellare i decreti sicurezza”.

A parte le modifiche che certamente ci saranno in base ai rilievi del Presidente della Repubblica, non c’è dubbio che limiti così stringenti stabiliti dalle Sezioni unite impediranno all’attuale governo, e in particolare alla componente più di sinistra, di reintrodurre di fatto un’ampia concessione dei permessi umanitari che costituivano la maggioranza dei permessi concessi. La quasi impossibilità dei rimpatri ha comunque comportato un netto aumento degli irregolari che restano sul territorio nazionale.

Nelle stesse ore la Corte dei conti europea ha pubblicato una relazione nella quale bacchetta sia l’Ue che l’Italia per motivi diversi. I giudici contabili hanno confermato quello che si sa da anni e cioè che i ricollocamenti obbligatori da Italia e Grecia verso altri Paesi dell’Unione hanno alleviato la pressione solo in minima parte. Infatti, dall’obiettivo iniziale di 160mila migranti, ne sono stati ricollocati nei vari Stati membri 98.256 dei quali solo 21.999 dalla Grecia e 12.706 dall’Italia (l’obiettivo per l’Italia era di circa 40mila). Alla nota ritrosia degli altri Stati l’anno scorso si aggiunse la decisione del Consiglio europeo di giugno nel quale, su richiesta del premier ungherese, Viktor Orbàn, fu stabilito che i ricollocamenti sarebbero stati solo volontari, chiudendo di fatto la porta a Italia e Grecia.

La Corte dei conti ha attribuito la responsabilità anche a questi due Paesi perché inizialmente “non erano in grado di identificare tutti i potenziali candidati” pur ammettendo che dopo ci sono state “carenze operative nel ricollocamento” che erano di fatto solo volontà politiche. Ciò che viene rimproverato a Italia e Grecia, invece, è la lentezza nell’apertura degli hot spot fino al 2016 che avrebbe ritardato i ricollocamenti. Discutibile, invece, è il commento di una portavoce della Commissione europea ai rilievi dei giudici contabili visto che ha parlato di “quasi il 100 per cento dei migranti eleggibili in Grecia e in Italia ricollocati con successo” e che, essendo il numero di migranti “ormai ai livelli pre crisi”, la situazione è più facilmente gestibile pur ammettendo “condizioni molto difficili” sulle isole greche.

Gli ultimi dati di Frontex indicano rispetto al 2018 un calo del 55 per cento verso la Spagna, un calo del 45 per cento sulla rotta del Mediterraneo Centrale (ma in Italia al 13 novembre il calo è del 55,8) e un aumento del 31 per cento sulla rotta orientale. Il boom in percentuale riguarda i Balcani: più 82 per cento anche se in termini assoluti nei primi 10 mesi di quest’anno sono arrivati sulla rotta dei Balcani Occidentali solo 8.400 persone. In gran parte sono afghani e quella è una rotta privilegiata dai jihadisti.



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