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Basta tagli e sprechi. Pierpaolo Sileri racconta le sfide della Sanità

“Dieci anni di tagli dei governi passati sono stati una cura dimagrante che rischia di uccidere il paziente”. Con questo monito il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri è intervenuto al convegno “In Scienza e Coscienza: dal diritto alla salute al dovere della sostenibilità – Quali sfide per il Servizio sanitario nazionale?” organizzato ieri a Roma da Fondazione Roche e Formiche per affrontare alcune delle sfide più importanti che il Servizio Sanitario Nazionale è chiamato ad affrontare. “È necessario che il ministero riprenda con forza e carattere il potere, non decisionale, ma almeno di indirizzo. Basti pensare ai commissariamenti degli ultimi anni, che hanno rallentato le regioni che correvano e congelato quelle che già non funzionavano”, ha aggiunto. “Dieci anni di tagli, e di soldi spesi male, hanno generato conflitti e minacciato il benessere dei pazienti”, ha ricordato. “Bisogna imparare a spendere meglio i soldi”, ma la sfida del futuro, ha precisato, è “agire con programmazione prima che ogni necessità diventi urgenza”. E per farlo, nel settore sanitario, “serve maggiore collaborazione anche fra i diversi ministeri, da quello dell’Economia a quello dell’Istruzione”. “E poi – ha concluso – bisogna risollevare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni sanitarie. Si parla troppo di mala sanità e mai di buona sanità, eppure siamo uno dei pochi Paesi che vantano una sanità pubblica garantita a tutti, oltre che il Paese con una delle migliori percentuali di sopravvivenza dopo il cancro. Valorizziamolo”.

D’accordo con il viceministro, il direttore di medicina interna del Fatebenefratelli e presidente eletto Fadoi Dario Manfellotto, secondo cui “c’è sempre più bisogno di ministero come ruolo di coordinatore istituzionale”. “Il federalismo sanitario ha causato una piorrea costituzionale, volendo citare le parole di Fulco Lanchester, che fa male ai pazienti e al sistema”, ha aggiunto. Della stessa opinione Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva. “Serve un approccio con un’unica visione che metta al centro l’esigibilità dei diritti dei cittadini. Non è normale che in alcune regioni per fare una mammografia ci vogliano 20 giorni e 200 in un’altra, altrimenti il diritto rimane solo sulla carta”, ha commentato. “Serve un servizio sanitario che sia più umanizzato”.

Ma non solo. Oltre all’umanizzazione serve un sistema che sia più vicino al medico e più incline a tutelare il rapporto medico-paziente. “Siamo schiacciati dalla burocratizzazione, passiamo più della metà del nostro tempo a compilare moduli anziché stare con i nostri pazienti. Siamo giudicati prevalentemente su numeri e criteri economicistici, ma mancano completamente criteri di qualità, che invece sarebbero prioritari”, ha aggiunto Manfellotto. “Per compilare i registri si impiegano fra i 7 e gli 11 minuti a paziente, minuti sottratti all’assistenza dello stesso”, ha convenuto Paolo Marchetti, direttore di Oncologia medica dell’Ospedale Sant’Andrea.

Il fattore umano deve restare preponderante anche per Rosaria Iardino, presidente di Fondazione The Bridge, perché “l’interpretazione automatizzata del dato non tiene conto della persona come umano, che ha le sue peculiarità e le sue caratteristiche”. Ma non per questo, ha ricordato a proposito delle nuove tecnologie che con grande velocità approdano nel settore sanitario, “il processo innovativo va frenato. Va governato, ma non frenato”. “La tecnologia non deve rappresentare una barriera fra medico e paziente, ma questa ci consente di raggiungere obiettivi prima inarrivabili”, ha proseguito Marchetti. “Basti pensare al supporto che può darci nella conoscenza delle interazioni fra farmaci”. “I dati possono essere un aiuto prezioso per il medico, purché non sia condizionato da questi strumenti e la sua attività decisionale possa restare primaria”, ha ricordato invece il cancelliere della Pontificia accademia per la vita Renzo Pegoraro.

Ma si è parlato molto anche di investimenti, programmazione e analisi costi-benefici. “Bisogna distinguere tra costi e investimenti”, ha ammonito il direttore del Corriere Salute Luigi Ripamonti. “Investire, ad esempio, nella medicina di precisione, consente un migliore esito terapeutico. E non si tratta di un costo, ma di un investimento. E non solo per quel paziente”. “Costi e non sprechi è qualcosa che mi vede d’accordo”, ha subito confermato il direttore del dipartimento di Oncologia presso la Fondazione IRCCS – Istituto nazionale dei tumori Filippo de Braud. “Non possiamo pensare che i costi non aumentino, perché aumentano sempre. Diminuiscono, invece, i costi della diagnostica sofisticata. Questa deve ancora subire un processo di razionalizzazione, ma migliora tecnologicamente e costa sempre meno. Quindi cosa bisogna fare? Quello che stiamo facendo: creare dei board  che permettano di razionalizzare i meccanismi di analisi, che diano informazioni più e, soprattutto, le strutture adatte per interpretarli”.

Una serie di spunti, quelli emersi durante il dibattito, che oltre ad aver portato all’attenzione le opportunità del nostro sistema sanitario, rappresentano preziosi suggerimenti di cui la politica non può non tenere conto.


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