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Nazionalizzare l’Ilva è una sconfitta per l’Italia. Parla Sileoni (Ibl)

Chi perde con la nazionalizzazione dell’Ilva? Lo Stato, sicuramente. Arcelor Mittal ha ufficialmente salutato l’acciaieria, senza la ragionevole speranza di assistere a clamorosi dietrofront (questa mattina i due emendamenti al Dl fiscale a firma Italia Viva che ripristinava lo scuso penale sono stati dichiarati inammissibili). Ora la palla è tutta nelle mani del governo, il quale ob torto collo si ritrova ad accarezzare ancora una volta la suggestione di un intervento statale, a quasi tre anni dal salvataggio da 6,9 miliardi di Mps e in piena zona di operazioni per un altro salvataggio, quello di Alitalia, anch’esso a trazione pubblica. Stavolta però ci sono più voci contrarie, a cominciare da quella del ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, che proprio ieri ha ribadito come la nazionalizzazione dell’Ilva a mezzo Cdp (la quale essendo fuori dal perimetro della Pa consentirebbe di escludere l’inevitabile aumento del debito dai calcoli Eurostat) non sia sul tavolo del governo. Almeno per ora. Formiche.net ha chiesto un parere a Serena Sileoni, vicedirettrice dell’Istituto Bruno Leoni.

Sileoni, l’addio di Mittal e l’ipotesi di una nazionalizzazione dell’Ilva è una sconfitta del libero mercato?

Più che una sconfitta del libero mercato mi sembra una sconfitta dell’Italia. E poi non è scontato che si possa fare un intervento pubblico. Oltre a tutto quello che abbiamo perso finora, in questi anni di incertezza su Taranto, andremmo a perdere ancora di più, visto che l’operazione la pagherebbero i contribuenti. E che dire dell’immagine e della reputazione dell’Italia? Sarebbe una perdita sulla perdita.

Lei parla di immagine… Quale?

Della reputazione dell’Italia. Se il piano B davvero fosse la nazionalizzazione, noi perderemmo la faccia, sarebbe una grande, grandissima sconfitta. E non parlo solo di libero mercato ma di sistema Paese, che uscirebbe fortemente danneggiato da un eventuale operazione di salvataggio pubblico.

Però è anche vero che non c’è altra strada, al momento. Cordate alternative non se ne vedono…

La politica è l’arte dell’imprevisto ed era imprevisto l’emendamento che ha soppresso lo scudo. Ma è anche l’arte del possibile, credo sia sbagliato rinunciare alla speranza. Capisco che i toni siano alti e la preoccupazione tanta ma sarebbe sbagliato gettare la spugna. La nazionalizzazione stessa non è un piano B, lo ha detto lo stesso Gualtieri. Sa quale è il piano B? L’abbandono dell’area, una nuova Bagnoli. Il piano B è un problema per la salute, perché se si abbandona l’Ilva nessuno ci mette i soldi per risanare l’area.

Come è stato possibile arrivare a questa situazione?

C’è stata una valanga negli ultimi anni, tutti i problemi che sono stati arrecati all’Ilva dalla magistratura sono stati corroborati da una politica assente. Mittal si è fatta i suoi conti, il Parlamento da parte sua gli ha offerto una leva per andarsene  e loro lo hanno fatto. C’è una parte politica che sta cercando di estrarre un grande dividendo da questa vicenda. Quella parte politica che ha accompagnato alla porta Mittal e che ora afferma che il recesso è illegittimo.

Parla del Movimento 5 Stelle immagino…

Esattamente. Dicono che il recesso è illegittimo ma io non ne sarei tanto sicura, perché è sicuramente più dubbio oggi che sia illegittimo di quanto non lo potesse essere se ci fosse stato lo scudo. Mi spiego: se lo scudo non fosse caduto e loro se ne fossero andati allora sì che il recesso sarebbe stato molto probabilmente illegittimo. Ma essendo invece decaduta quella forma di garanzia, il recesso acquista una sua legittimità. E il M5S ostenta troppa sicurezza in questo senso.

Ma l’Italia non è davvero un Paese per imprese?

Temo che di sì, Ilva rappresenta una storia drammatica, specchio di una politica industriale fallimentare. Ma le pare normale che sia il premier a chiedere ai cittadini cosa fare, con una specie di beauty contest, con una chiamata alle idee? Le sembra fare della politica industriale questo? Un Paese che vuole attrarre investimenti deve lasciar lavorare le imprese non dirgli cosa devono fare e che tipo di industria portare avanti. Stessa cosa sull’Ilva, non spetta allo Stato dire se a Taranto ci deve stare un parco giochi o un allevamento di cozze o un polo siderurgico.

Sileoni, Ilva a parte, l’Italia manca sempre l’appuntamento con le grandi partite industriali?

L’Ilva è certamente una questione complessa, che si scontra con certe idee della politica. Siamo un Paese problematico perché ci sono piani di complessità diversi, da un parte il consenso elettorale e dall’altra la pianificazione industriale. E non sempre il primo si incastra bene con la seconda.


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