Non deve essere facile in questo momento essere nei panni di Giuseppe Conte. Il dramma dell’Ilva ha toccato le corde più sensibili del governo il quale, preso atto della ferrea volontà di Arcelor Mittal di abbandonare Taranto, si ritrova stretto in una morsa. Da una parte le preoccupazioni del Quirinale, che avrebbe chiesto al premier una rapida soluzione del caso. Dall’altra il destino di 10 mila lavoratori e relative famiglie, sempre più prossime a un Natale senza lavoro. E tutto questo, senza avere un vero piano B, nazionalizzazione o cordata alternativa (ma Jindal si è appena sfilata) che sia. Formiche.net ha chiesto un parere ad Antonio Talò, segretario della Uilm di Taranto, nel giorno dello sciopero di 24 ore indetto dopo la decisione di Mittal e all’indomani del vertice serale con lo stesso premier.
Talò, Mittal sembra non voler marcia indietro. Che si fa?
Se Mittal, come ha ampiamente chiarito al premier Conte, non ha intenzione di fare marcia indietro allora tanto vale accompagnarli alla porta. Noi abbiamo sempre immaginato che lo scudo penale non fosse il vero problema, loro volevano un nuovo piano industriale che prevedesse degli esuberi, lo scudo non c’entra un bel niente.
Il problema vero è che l’esecutivo non ha un piano B…
Questo è il vero dramma, mi creda. Ieri, incontrando Conte abbiamo percepito che l’unica preoccupazione del governo è aprire un contenzioso con Mittal per vedere chi ha torto. Ci vorranno settimane, mesi, ma ai lavoratori chi pensa intanto? Mentre loro litigheranno noi ci ritroveremo una fabbrica chiusa e senza alcun provvedimento che possa garantirne la continuità. Questo è il problema, abbiamo cercato di farlo capire in tutti i modi. Ho l’impressione che qualcuno al governo non abbia compreso la situazione.
Dunque si va verso uno stop dell’acciaieria…
Sì. Magari poi si riparte, ma con chi? E come? E con quali garanzie? Ma ora, che facciamo? Dobbiamo dare risposte ai lavoratori che aspettano di sapere il futuro. Se il governo ha un’alternativa siamo pronti a ragionare insieme, per individuare la soluzione migliore. Ma nel breve termine, servono decisioni per mantenere la produttività, per sostenere il lavoro. Ed è proprio questa cosa che manca.
Nazionalizzare l’Ilva. Come la vedono i lavoratori?
Adesso sembra la parola d’ordine nel governo. Tecnicamente si può fare, ma il problema è come gestire l’operazione. Se si nazionalizza l’Ilva e si rimane così come ora, senza mettere mano alla questione ambientale allora non serve a nulla, è solo un’operazione di campagna elettorale. Se invece si fa un’operazione ragionata con un piano industriale credibile allora ha senso. Ma per come stanno le cose, siamo ancora alle chiacchiere.
Diciamo che per un attimo lei diventa Conte. Che farebbe?
Deciderei in fretta, alla svelta. Se Mittal è in uscita, dopo un’operazione inutile e dispendiosa e mi riferisco alla gara del 2017, occorre prendere subito decisioni. Inutile al momento rincorrere cordate che non esistono, l’unica cosa da fare è ridare l’Ilva ai commissari ma in tempo utile per mantenerla in piedi. Non inseguiamo fantomatiche operazioni. Subito ai commissari e poi studiare una soluzione strutturale, che ora non c’è. La nostra paura è che il commissariamento arrivi troppo tardi.
Il Capo dello Stato ha espresso grande preoccupazione per la questione Ilva. In qualche modo vi rincuora?
Sì, ma se devo essere sincero qui la preoccupazione è il meno. Qui serve un progetto, ci sono 20 mila persone compreso l’indotto. Ci diano uno straccio di provvedimento.
L’Italia sembra avere sempre problemi con i grandi investitori. Ma perché?
Sì, il problema delle multinazionali è che hanno un approccio diverso alle questioni industriali. Se gli tocchi qualcosa, se ne vanno. E così è successo. Ma ora dobbiamo pensare al futuro, non abbiamo tempo da perdere, tra poche settimane, entro il mese, migliaia di persone andranno in Cassa integrazione. Questo è il rischio. E se questo è il massimo che l’Italia può dare ai propri lavoratori, meglio fare altro.