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Trump ci riprova con i talebani. La promessa del ritiro è più forte dei rischi

Donald Trump insiste e vorrebbe proprio risolvere la pratica afghana prima delle elezioni presidenziali in programma tra un anno per mantenere la promessa del ritiro. Insiste e continua a fidarsi dei talebani con i quali, a quanto pare, gli Stati Uniti hanno ripreso una trattativa dopo quella bruscamente interrotta all’inizio di settembre per l’ennesimo attentato nel quale morirono 11 persone tra cui un soldato americano. All’epoca si era a un passo da un accordo estremamente rischioso e sul quale si consumò la rottura tra il segretario di Stato, Mike Pompeo, e l’allora consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton, che era contrario al dialogo.

Adesso, complice il giorno del ringraziamento, Trump è comparso all’improvviso e per la prima volta tra le truppe americane in Afghanistan dove, tra una porzione di tacchino e l’altra, ha detto che gli incontri con i talebani sono ripresi e gli Usa hanno chiesto come prima cosa un cessate il fuoco. Il presidente ha aggiunto una frase importante: “Resteremo fino al raggiungimento di un accordo o fino alla vittoria finale”, frase forse a beneficio delle truppe perché di vittoria finale è un po’ difficile parlare. I talebani hanno commentato confermando che i colloqui sono ripresi a Doha fin dalla scorsa fine settimana e che intendono ripartire dal punto in cui si sono interrotti.

Trump, parlando nella base di Bagram, ha anche auspicato una soluzione politica decisa dagli afghani dimenticando che da sempre una condizione dei talebani è che il legittimo governo di Kabul non faccia parte delle trattative perché lo considerano il nemico da distruggere. Le intenzioni americane sono note: scendere dagli attuali 13mila a circa 8.600 militari concentrandosi sulla guerra al terrorismo di al Qaeda e dell’Isis e arrivare poi al ritiro totale per assecondare l’elettorato che vorrebbe la fine di una guerra che dura da 18 anni con 2.400 morti statunitensi e sulla quale più della metà degli statunitensi non sarebbe più d’accordo.

I cittadini americani hanno una percezione del pericolo terrorismo diversa dagli europei, nonostante l’11 settembre, e riprendere le trattative dal punto in cui si sono interrotte significa ribadire i tre punti fondamentali: l’impegno a combattere i gruppi terroristici come al Qaeda, un dialogo con il governo afghano e un cessate il fuoco in cambio del ritiro di 5.400 soldati entro tre mesi dalla firma. Si può davvero credere che i talebani manterranno questi impegni, quando per esempio alcune frange di al Qaeda combattono con loro?

All’inizio di settembre lo stesso Pompeo, favorevole alla trattativa, fu molto duro dopo l’ultimo attentato: “Gli Stati Uniti non faranno alcun accordo con chi continua a seminare violenza”, disse. Gli europei presenti nella missione Nato Resolute support restano a guardare l’esito di questa trattativa e le mosse a sorpresa di Trump che certamente aumenteranno con l’avvicinarsi delle elezioni: le sue scelte costringeranno anche gli altri membri dell’Alleanza a interrogarsi. Sullo sfondo il rischio è sempre lo stesso: elezioni presidenziali o meno, l’Afghanistan rischia di diventare uno stato terrorista.

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