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5G, sorpresa: in Europa c’è chi dice no (a Huawei). Ecco chi, e perché

Si fa sempre più stretta la strada che porta al 5G europeo per Huawei, la multinazionale tech cinese leader nella telefonia mobile e nella costruzione della rete di ultima generazione. Anche la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ora esprime dubbi sull’opportunità di lasciare entrare i cinesi nel 5G europeo dopo le accuse di spionaggio industriale rivolte alla compagnia di Shenzen dagli Stati Uniti e dalle agenzie dei Servizi di alcuni Paesi europei. In un’intervista a Der Spiegel l’ex ministro della Difesa di Angela Merkel ha commentato la legge cinese sulla Sicurezza nazionale che dal 2017 prevede l’obbligo per le aziende di collaborare e condividere informazioni con i Servizi e il governo qualora richieste. “Se esiste il rischio che i dati di civili o aziende possano essere sfruttati sulla base di questa legge, allora non possiamo accettarlo – ha sentenziato la numero uno della Commissione. È la prima netta presa di posizione della nuova Commissione Ue su un tema che promette di diventare pivot della politica estera comunitaria.

Il 5G, ha detto von der Leyen, è “una tecnologia fondamentale per assicurare il flusso di dati in Europa”. Ben vengano gli investimenti nella banda ultralarga, ha poi aggiunto, purché rispettino gli standard europei: “Uno di questi standard deve essere che le aziende che ci forniscono queste tecnologie altamente sensibili siano indipendenti e non possono essere costrette dai loro governi a trasmettere dati”. L’accusa che è da anni rivolta a Huawei è proprio la dipendenza dal Partito comunista cinese. Affidare all’azienda la costruzione della rete 5G pone a rischio la sicurezza e la privacy dei dati sensibili che viaggiano sulla rete, è l’allerta lanciata negli ultimi mesi dal governo americano e dagli 007 di diversi Paesi europei. In Italia una settimana fa è stato il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) a invitare il governo a “prendere seriamente in considerazione” il bando di Huawei e delle aziende cinesi dalla rete, dopo un anno di indagini e audizioni dei vertici dei Servizi e degli operatori del settore.

I dubbi manifestati dalla presidente della Commissione Ue confermano un progressivo cambio di policy a Bruxelles. Già in ottobre la Commissione uscente presieduta da Jean-Claude Juncker aveva pubblicato un documento, il Risk assessment, in cui analizzava i rischi alla sicurezza derivanti dall’installazione della rete 5G. Nel rapporto l’organo esecutivo dell’Ue, pur senza citare la Cina, consiglia di non affidare la costruzione della banda ultralarga ad aziende di Paesi “dove non ci sono controlli legislativi o democratici né altri equilibri” e ammonisce gli operatori “con sede in Ue” a non stipulare contratti con “un singolo fornitore di equipaggiamento”.

Con l’intervista a Der Spiegel von der Leyen sembra optare per una linea di continuità con la precedente Commissione. D’altra parte già durante le audizioni al Parlamento europeo il neo-Commissario francese al Mercato Interno con deleghe su Digitale, Difesa e Spazio, l’ex ad di Orange e Atos Thierry Breton, aveva avanzato riserve sulla partecipazioni delle aziende cinesi al 5G, dicendo di essere “per nulla naif” sulla sicurezza della rete e di voler tutelare la concorrenza dalle aziende che ricevono “aiuti di Stato”. Su quest’ultimo punto è in queste ore in corso un duro scontro fra Huawei e il Wall Street Journal, che ha pubblicato un’inchiesta secondo cui l’azienda cinese avrebbe ricevuto dalla sua nascita 75 miliardi di aiuti di Stato sotto forma di esenzioni fiscali, sovvenzioni, prestiti.

Un’avvisaglia della nuova linea a Bruxelles era giunta di recente da Berlino. La cancelliera tedesca Merkel, dopo aver a lungo difeso l’apertura del mercato del 5G anche alle aziende cinesi, è intervenuta bloccando un accordo da 533 milioni di dollari fra Deutsche Telekom e Huawei. Nel frattempo il Bundestag ha avviato la discussione parlamentare su una nuova proposta di legge che mira a escludere dalla rete i fornitori “a rischio di influenza da parte di uno Stato senza controlli costituzionali, oppure di manipolazione e spionaggio”. Passare dalle parole ai fatti non sarà facile, anche perché la legislazione europea sulla concorrenza impedisce alla Commissione di prendere di mira una singola azienda. La via percorribile, e sempre più plausibile, è quella di una restrizione degli standard di sicurezza.

Resta comunque eloquente la posizione della von der Leyen. Specialmente se letta alla luce dell’imponente campagna di lobbying avviata da Huawei nei confronti delle istituzioni europee proprio sulla rete 5G. Solo nell’ultimo anno, scrive il New York Times, la compagnia fondata da Ren Zhengfei ha speso 3 milioni di dollari in pubblicità e lobbying, più di quanto abbiano speso insieme le sue due competitors, la svedese Ericsson e la finlandese Nokia.

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