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Perché sull’ambiente la nuova Commissione Ue parte con il piede sbagliato

Inizia in modo davvero inatteso il mandato di Ursula von der Leyen. Con una dichiarazione che sotterra le speranze ingeneratesi nei mesi scorsi riguardo all’auspicato scorporo degli investimenti “verdi” dal calcolo del deficit dei singoli Stati membri.

Le premesse (se non le promesse) erano altre. E per vero anche la presenza del commissario, e vicepresidente della Commissione, Paolo Gentiloni, con un importante e qualificante passato in Legambiente, lasciava pensare che stavolta questa misura di puro buon senso sarebbe stata finalmente adottata. Non è stato così.

Colpisce, occorre dirlo, anche la circostanza che questa posizione sia stata resa pubblica da von der Leyen – in un’intervista al Sole 24 Ore e altri quotidiani stranieri – due giorni dopo il voto, a larghissima maggioranza, del Parlamento europeo, che ne ha definitivamente sancito il ruolo di n. 1 della nuova Commissione Ue.

E colpisce soprattutto la motivazione addotta, rotante intorno alla supposizione che vi sarebbe altrimenti “da parte degli Stati la tentazione di fare del green washing”, cioè politiche ambientali di facciata (strumentalizzando, cioè, le politiche ambientali allo scopo di “ripulire” un po’ i conti pubblici in disordine).

Dando l’impressione di voler temperare la prevedibile delusione dei milioni di europei attenti (lealmente e senza i secondi fini paventati da von der Leyen) alle questioni ambientali, la nuova presidente della Commissione Ue ha preannunciato un piano di investimenti da 1000 miliardi di euro in sostenibilità ambientale, che verrà presentato entro i primi 100 giorni di mandato, con l’obiettivo di rendere l’Europa “il primo continente neutrale climaticamente entro il 2050″. Un Piano, questo, che dovrà però trovare attuazione dal di dentro del Patto di stabilità, e non al di fuori di esso.

Finisce quindi – questo inizio – con una promessa di Piano, in luogo di una misura di puro buon senso che sarebbe stata adottabile in modo semplice e in poco tempo.

Nell’attesa del Piano, questo inizio – sul tema specifico – delude, tanto nella tempistica (perché non fare la dichiarazione due giorni prima del voto, anziché due giorni dopo?), quanto nelle motivazioni e nei relativi sottintesi (palese diffidenza, se non aperto sospetto, nei confronti dei partner europei).
Soprattutto, la riconduzione degli investimenti “verdi” dentro il perimetro del Patto lancia un messaggio politico, univoco, di forte derubricazione delle questioni ambientali a tecnicalità fra le tecnicalità. Semplici cose per tecnocrati, insomma. Come tutte le altre.



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