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Autostrade, perché dico no alla revoca della concessione ai Benetton

La revoca della concessione autostradale è assolutamente pericolosa perché determinerebbe un contenzioso i cui effetti onerosi ricadrebbero sui cittadini, oltre ad alimentare un clima e un sentimento antindustriale che avrebbe come unica finalità quella di allontanare i potenziali investitori dal nostro Paese.

Siamo inoltre contrari come Osservatorio alla revoca della concessione, che deve peraltro essere provata in termini di presupposti giuridici, anche perché ad oggi il governo non ha indicato alcuna soluzione alternativa. Nello specifico i tempi e le modalità della individuazione di un progetto di nazionalizzazione delle autostrade, non possono essere improvvisati ma che al contrario devono essere contestualizzati all’interno di processi di portfolio management a livello strategico, con la definizione anche delle competenze e delle risorse che dovranno essere utilizzate in un’ottica di program project management.

Mi sembra da questo punto di vista che i tecnici del ministero siano stati molto chiari con l’allora ministro Toninelli, quando a luglio hanno sottolineato l’inopportunità della revoca, i cui presupposti giuridici andavano di fatto provati, perché avrebbe aperto degli scenari i cui esiti non sono affatto scontati e appaiono oggi del tutto imprevedibili.

La tragedia di Genova e gli ultimi fatti di cronaca, invece, devono contribuire e dare ulteriore forza alla decisione del governo di rinegoziare le concessioni autostradali (lo ha detto di recente anche l’attuale ministro delle Infrastrutture De Micheli), come abbiamo chiesto all’inizio del 2018 all’allora ministro Del Rio, molto prima quindi della tragedia del Ponte Morandi, per evitare in quella occasione lo stillicidio degli aumenti autostradali ad inizio anno.

Nel 2001 furono stipulati i primi contratti con i concessionari autostradali. Da allora non solo è stato ridisegnato il perimetro del sistema finanziario globale ed eroso il potere della classe media, ma abbiamo assistito ad una notevole produzione normativa nel settore degli appalti pubblici, che è andata anche nella direzione, almeno nelle intenzioni, di regolare il rapporto tra il pubblico ed il privato.

Per queste ragioni all’inizio del 2018 chiedemmo come Osservatorio Nazionale sulle Infrastrutture a Del Rio di procedere alla revisione del contratto, anche alla luce della proposta di linea guida Anac sul monitoraggio delle amministrazioni aggiudicatrici sull’attività dell’operatore economico nei contratti di partenariato pubblico-privato.

Quella operazione, allora indispensabile per normare la redditività finanziaria del concessionario (i cui parametri di equilibrio tra l’analisi dei costi e i ricavi sono di fatto obsoleti), e al contempo non infierire sulla capacità di spesa degli utenti finali diminuita in questo lasso di tempo anche per effetto dell’introduzione dell’euro, appare oggi ineludibile dopo il crollo del ponte di Genova.

Se l’impianto normativo che regola le concessioni appare vetusto, perché nel frattempo si sono modificati i termini del contratto (si pensi ad esempio ai terremoti che si sono succeduti dal 2009, che hanno determinato sui tronchi autostradali A24 e A25 onerosi interventi di manutenzione straordinaria, non prevedibili all’epoca della sottoscrizione del contratto di concessione), non si può scaricare questa anomalia sui fruitori del servizio.
Per un’impresa, infatti, i costi della logistica e della infrastrutturazione non idonea e della intermodalità incompleta, incidono per il 10% sul bilancio di esercizio, una cifra spropositata che andrebbe ricondotta a valori più equilibrati.

La linea guida Anac interveniva proprio sulla revisione dei contratti delle concessioni e sulla disciplina dei contratti di partenariato pubblico-privato, definiti all’art. 3 del Decreto Legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (il cosiddetto Codice dei Contratti di recente modificato).

In particolare nella II parte della linea guida si individuavano proprio gli strumenti per favorire non solo il controllo e il monitoraggio economico delle attività del concessionario, ma soprattutto veniva indicata quale direzione intraprendere nel caso di revisione del contratto, causata dalla inadempienza o inefficacia delle clausole contrattuali preesistenti, perché, ad esempio, sono venute meno le modalità che regolavano il rapporto ex ante.

La manutenzione, infatti, è un argomento sempre di più centrale nella gestione delle infrastrutture italiane, anche alla luce dei vari crolli di ponti e di viadotti che si sono succeduti nel 2017 sui vari tratti stradali ed autostradali italiani, a causa della loro vetustà e della non sempre rigorosa attenzione dovuta alla manutenzione.
L’Anac anche per questo ha insistito in modo puntuale sulla definizione della matrice dei rischi come strumento di controllo, sulla sua corretta analisi ed interpretazione, sul flusso di informazioni per il monitoraggio. E poi, c’è un altro elemento da valutare. Lo Stato deve fare i controlli. In questi quasi venti di concessioni autostradali i contratti sono stati secretati. Perché e in nome di quale principio superiore? Abbiamo conosciuto l’entità della redditività record dei concessionari solo dopo il crollo del Morandi. Anche lo Stato quindi ha le sue responsabilità. Avrebbe dovuto tutelare l’interesse generale, ma la sua condotta è stata omissiva.


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