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Perché la Brexit sarà la svolta geopolitica dell’Europa. L’analisi di Valori

La Brexit, sancita da un voto di massa per i Tory di Boris Johnson, sarà la grande svolta geopolitica dell’Europa, obtorto collo, e dello stesso Regno Unito.

La scelta di tenere il referendum, presa dal premier Cameron nel giugno 2016, già mostrava, in effetti, cosa sarebbe successo.

Cameron pensava che il referendum avrebbe tacitato, con una sonora sconfitta, l’ala brexit dei Tories, ma ciò, come è noto, non è accaduto. Il premier Tory britannico, infatti, non aveva raggiunto i suoi obiettivi con le trattative a Bruxelles di quello stesso anno. Certo, David Cameron pensava, come abbiamo detto, di dare un contentino alla minoranza dei Tories favorevole alla Brexit, ma il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.

Mettiamo da parte le tradizionali spiegazioni sui motivi della rottura tra Regno Unito e Ue: non si tratta di mantenere il dominio della vecchia Anglia sui territori britannici dell’isola, come la Scozia, la Cornovaglia o il Galles.

Ipotesi spesso ripetuta da raffinati geopolitici da salotto, ma che si scontra con il dato del Galles, dove i voti per abbandonare la Ue sono il 52,5%, mentre in Irlanda del Nord, ma soprattutto in Scozia, il leave raggiunge solo, rispettivamente, il 44,2% e il 38%.
Casomai, il filo-europeismo delle periferie isolane dimostra che non si può usare la Brexit per “tenere” Scozia e Irlanda, non il contrario.

La Gran Bretagna ha da sempre rinunciato al criterio europeo della even closer union.
We want our money back! Così esplose Margaret Thatcher al Consiglio europeo di Dublino del settembre 1979.
La “linea” di Boris Johnson è esattamente quella della tradizione thatcheriana.
La Thatcher vedeva il dirigismo alla Jean Monnet tipico della Ue come un colossale ostacolo al suo progetto liberista di modernizzazione e di rilancio dell’economia britannica.
Nemmeno De Gaulle, però, voleva Londra dentro l’Ue. “Prendete i vostri sogni di potenza indipendente, e ficcateveli in cima alla Torre Eiffel”, come diceva una canzone popolare londinese, dopo il veto francese all’entrata della Gran Bretagna nell’Ue del 1963.
Il fatto è che Francia, Inghilterra, Germania, hanno tutte pensato alla Ue come a uno strumento per i propri progetti geo-economici e strategici nazionali, non come l’Italia, che ha sempre cercato affannosamente organizzazioni internazionali, trattati, gruppi che si sostituissero ad una sovranità nazionale che gli italiani del secondo dopoguerra non volevano, e a cui non erano preparati.
Peraltro, quella che Leo Longanesi chiamava “la psicologia del cameriere” ha sempre portato le nostre classi dirigenti repubblicane a pensare che gli accordi internazionali in cui entrava l’Italia fossero un “regalo”, un “favore”, magari una “mancia”.
Londra, ricordiamolo, non ha voluto essere tra i sei che fondavano l’Unione Europea.

Anche i filo-europeisti, come Harold Macmillan, volevano un approccio “funzionale” e day by day rispetto a quello europeo, ritenuto pericolosamente “federale”. E sostanzialmente autoritario.
Per gli attuali elettori della Brexit, l’Unione Europea è allora un vero e proprio “usurpatore” che ha troppi poteri, malgrado la forte carenza di legittimità democratica e elettorale.

L’Ue è stata una idea americana, lo ricordiamo, per far crescere l’economia dei Paesi europei della Nato e mantenere, così, la stabilità sociale e politica interna.

Niente di più, niente di meno. Vedremo cosa accadrà alla Ue con il lento disinteresse degli Usa per l’Alleanza Atlantica.

Poi, la Ue è diventata il mito di una “terza forza” tra Usa e Patto di Varsavia, con la creazione di una moneta unica che ha fatto ridere i finanzieri di Londra e indignato gli Stati Uniti, che si ritrovano questo euro tra i piedi, che non è una vera moneta, dato che non è un lender of last resort, ma che anzi mima le monete vere; e in più è anche rigida e, quindi, scarica sui fattori di produzione le tensioni sui mercati che, altrimenti, si sfogherebbero, come è sempre accaduto, sui cambi.

Poi ci sono stati altri due risultati della Ue che non sono mai piaciuti, fin dall’inizio, alla classe dirigente britannica: lo strapotere della Commissione Europea e della Corte di Giustizia, certamente, ma soprattutto lo strapotere, così è visto a Londra da sempre, della Francia e della Germania nelle principali decisioni e sullo stesso progresso di integrazione.

Le ostruzioni britanniche alle politiche Ue, che iniziano fin dagli anni ’80, un caso da manuale di “leadership negativa”, sono state per decenni l’unico modo, per Londra, di opporsi a un processo che sembrava inerziale e, comunque, diretto da potenze naturaliter antibritanniche, come Francia e Germania.

Non sono riflessi da vecchia geopolitica delle cannoniere, si tratta di una valutazione strategica che è ancora, per quel che riguarda Londra, del tutto esatta e attuale.

Ecco, la Ue fa sempre come se la geopolitica e gli interessi strategici primari di un Paese non esistessero, coperti dal fragore dell’Inno alla Gioia dalla Nona di Beethoven.
“Tutti gli esseri bevono gioia/ai seni della natura/Tutti i buoni, tutti i malvagi/vanno per il suo sentiero di rose”.
Immagini archetipiche, fratellanza universale, giustizia fondata sulla libertà di pensiero, concordia fondata sulla Ragione….una Ode tipicamente massonica, per il Finale schilleriano della Nona Sinfonia.

Ma i tempi sono ormai ben diversi dalla Gioia per i tedeschi sconfitti da Napoleone, lo “spirito del mondo a cavallo”, come diceva Hegel.
Ma gli interessi geopolitici o sono nazionali o non sono, e la dimenticanza dei vari Paesi della strategia globale, con l’Ue, è stata colossale e pericolosissima.
E qui, anche a Londra lo scoppio visibile della rivolta contro l’Unione Europea, materializzatasi con la Brexit, è stata la questione dell’immigrazione incontrollata.

Per la Gran Bretagna, la massa degli arrivi consiste in migranti economici provenienti soprattutto dall’Europa dell’Est, una situazione che ha portato i governi di Londra a limitare la libertà di movimento e ha messo in difficoltà grandissima il sistema del welfare, già in fase di contrazione dopo le riforme della Thatcher.

Il piano Howe del 1982, ispirato dalla Iron Lady, ipotizzava già una assicurazione sanitaria privata obbligatoria, una quota di contributi per la scuola pubblica, e una rete di cliniche private che avrebbe lentamente sostituito il National Health Service.
Non crediamo sia ragionevole espiantare il Welfare State, ma certamente occorrerà ripensare a un sistema che dà tutto a tutti, anche ai ricchi, e da tutto a tutti i nuovi venuti e che quindi, inevitabilmente, riduce la possibilità di cura per i poveri o la ormai proletarizzata middle class.
Invece di cantare l’Inno alla Gioia, o magari anche l’Internazionale, sarebbe meglio studiare dei nuovi sistemi per garantire ai poveri, con dignità, la salute e le buone scuole, ma che si finanziasse anche con le tasse ad hoc e le tariffe pagate dai ricchi.
Siamo ancora, nelle nostre ideologie occidentali, ai “Quattro Vecchiumi” contro i quali polemizzavano le feroci e imberbi Guardie Rosse maoiste: “vecchie idee, vecchia cultura, vecchie tradizioni, vecchie abitudini”.

Ecco, la Brexit può avere l’effetto di ripensare anche le “vecchie” categorie dell’Unione Europea.
Una Ue che non pensa l’Oriente se non per “portare la democrazia” con le bombe o per destabilizzare tutta l’area, credendo, come capita a tutti i folli, di fare del bene, o magari per seguire pedissequamente gli interessi strategici nordamericani, che non sono quelli dell’Europa.

Lo ha detto un uomo di grande qualità intellettuale, Alain Finkielkraut, “Se Angela Merkel non avesse fatto entrare un milione di migranti in Germania, nel 2015, non ci sarebbe stata la Brexit”.
Da qui, la percezione di massa, in Gran Bretagna, di una Ue che destabilizza gli Stati nazionali che fanno parte dell’Europa, forse per indebolire i regimi politici nazionali, magari in cerca di una sovranità sovranazionale che si mostra, talvolta, in alcuni mediocri prodotti della cultura mainstream.

Peraltro, l’Ue ha trattato con la Gran Bretagna, nelle more della Brexit, usando la sua superiorità negoziale per massimizzare i suoi potenziali.
Oltre a mantenere il principio delle quattro libertà di commercio (di beni, capitali, servizi e lavoro) l’Ue ha voluto, soprattutto, garantire la permanenza dell’Irlanda, compresa l’Irlanda del Nord, nel sistema di interscambi Ue.
Certo, la soft Brexit di Theresa May ha creato grandi tensioni nel suo governo, portando alle dimissioni i ministri Boris Johnson e David Davis, ma l’essenza geopolitica della questione è che l’hard brexit voluta da Johnson e che ha stravinto alle elezioni è un avvicinamento strutturale agli Stati Uniti, mentre sia la permanenza della Gran Bretagna nella Ue che la soft brexit facevano rimanere Londra nell’area strategica di Parigi e Berlino.
La scelta elettorale recente dei britannici implica quindi una sconfitta secca di Francia e Germania.

Peraltro, Macron aveva minacciato la Gran Bretagna di farla rimanere nelle “retrovie”, qualora si fosse avverata la hard brexit. E quindi si sarebbe attuato il blocco inglese alle navi da pesca francesi nelle acque britanniche.

L’accordo della soft brexit era certamente sfavorevole a Londra: l’Inghilterra non avrebbe più avuto la libertà di fare trattati commerciali bilaterali con alcun Paese, senza il permesso di Bruxelles, con i beni e i servizi Ue in libera entrata in Uk, ma non viceversa. Ci immaginiamo cosa sarebbe accaduto alla bilancia dei pagamenti di Londra.
I servizi finanziari britannici, poi, avrebbero avuto una limitata possibilità di entrare nei mercati Ue.
Un nodo scorsoio.

Cosa produrrà la hard brexit? Intanto, un forte deterioramento della già grave situazione economica europea.
La Brexit è soprattutto una guerra commerciale, non altro. Probabilmente, la Brexit “dura” produrrà recessione e stagnazione in molte delle nazioni europee.
Probabilmente, lo scenario britannico stimolerà le forti minoranze no-euro e no-Ue nei Paesi euro a rafforzarsi e a chiedere non obiettivi intermedi, ma il “tutto”, ovvero l’uscita dalla Ue.

Si bloccherà, almeno per un certo tempo, la tendenza a trasferire i poteri nazionali verso l’Ue e, soprattutto, si inficerà rapidamente il potere della Corte Europea di Giustizia nei confronti dei singoli Stati.

Il progetto franco-tedesco era quello di rafforzare le tradizionali libertà commerciali per tutta la Ue, ma nel contempo, proteggere i propri “campioni nazionali”, e ora la Brexit blocca questa grande operazione.

Peraltro, sia Germania che Francia hanno sempre tentato di “esportare” nel resto della Ue le loro soluzioni per il mercato del lavoro e per il welfare, anche verso Paesi Ue con molta meno raccolta fiscale e ben maggiore debito pubblico, così “impiombando” i possibili concorrenti europei e rendendo più facili le loro operazioni di mergers & acquisitions nell’Europa meridionale.
Ora, questo progetto franco-tedesco è alla fine. E non è certo un male.

Quindi, la Brexit favorirà una ulteriore separazione tra l’Ue-Nord e l’area meno sviluppata di euro-Sud, per non menzionare qui la separazione sempre maggiore, tra Europa Centrale e Europa Occidentale per quel che riguarda la politica delle migrazioni.
Berlino ora può sfruttare il suo differenziale con la Francia per cercare l’appoggio delle nazioni Eu più piccole.
E, poi, avremo uno scenario a medio periodo, che è molto probabile: l’Ue perde gran parte delle sue potenzialità militari, e non è più la seconda più grande economia al mondo, il che spiegherebbe il budget Ue molto più piccolo, dopo la Brexit, e l’accendersi del contrasto tra Unione Europea e Usa.

Se poi la Gran Bretagna esce, come certamente farà tra poco, dall’Ue, aumenterà la tendenza dell’Europa a fare accordi commerciali, energetici e industriali con la Federazione Russa.

E, in seguito alla Brexit, gli Stati della Ue saranno sempre meno capaci di impostare rapide e efficaci scelte strategiche.
Quindi, la Brexit è l’accettazione della Gran Bretagna di volere e potere giocare i propri interessi in tutto il globo, visto che la Ue non è, semmai lo è mai stato, un big player della geo-economia mondiale.
Casomai, è un grande mercato protetto, e questa è la sua essenza, non qualche coretto dalla Nona di Beethoven.

La Gran Bretagna, avendo classi dirigenti capaci e un popolo brave, coraggioso, non vuole trattare ogni suo passo con la Ue, non vuole legarsi ad un progetto geopolitico che ritiene, e non ha certo tutti i torti, fallito, non vuole infine che qualcun altro, a Bruxelles, impedisca o favorisca le sue scelte.

L’Ue è una assemblea di ragionieri che crede di essere un War Cabinet. Più veloce sarà la rapidità della Brexit di Boris Johnson tanto più la Ue calerà le braghe, è questo il calcolo del nuovo governo Tory.

E, certamente, la proiezione di potenza della Gran Bretagna che si realizzerà tra poco, con accordi commerciali e finanziari con tutto il Commonwealth, il Giappone, la Corea del Sud, la Cina porterà all’interno della Grande Isola una nuova fase di sviluppo economico, che però sarà sempre peggio distribuito.

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