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Stop alle armi in Libia. L’Ue chiede il rispetto dell’embargo ma la guerra si fa più dura

La Commissione europea batte un colpo sulla Libia e invita tutte le parti ad abbandonare le armi. Tutti i membri della comunità internazionale dovrebbero osservare e rispettare l’embargo sulle armi delle Nazioni Unite, dice una nota diffusa alla stampa dal Servizio europeo per l’azione esterna: l’Ue sostiene fermamente gli sforzi del rappresentante speciale delle Nazioni Unite, Ghassan Salamé, e del processo di Berlino, in quanto “unica via per il rilancio del processo politico libico e la ricostruzione di una Libia pacifica, stabile e sicura”. Una traiettoria che, dice il Servizio, dovrebbe essere seguita da tutti gli attori in campo.

La dichiarazione arriva in una fase di intensificazione dei combattimenti e soprattutto segue – con una posizione ufficiale Ue – la richiesta di aiuto militare avanzata a una serie di Paesi alleati, tra cui l’Italia, dal presidente del Consiglio presidenziale libico, Fayez Serraj. Il Governo di accordo nazionale, il Gna, che da tre anni Serraj – sotto egida Onu e con riconoscimento da parte della Comunità internazionale – sta cercando di trasformare in un esecutivo con pieni poteri attraverso l’avallo politico della Camera, aveva chiesto supporto nel fronteggiare il signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar.

Haftar, capo miliziano della Cirenaica, ha l’ambizione di rovesciare il Gna di Tripoli e intestarsi il Paese come nuovo rais. Per questo oltre otto mesi fa ha lanciato una campagna di conquista verso la capitale. Operazione che però è entrata in stallo quasi subito, nonostante stia ricevendo il supporto esterno – diretto – di Emirati Arabi ed Egitto. Il Gna è difeso con pro-attività dalle milizie di Misurata, che forniscono anche la protezione politica al governo attraverso esponenti particolarmente assertivi e ottimamente collegati con il mondo occidentale e con Turchia e Qatar.

Da qualche settimana, la spinta di Haftar s’è fatta via via più convinta anche grazie al supporto a terra di alcune centinaia di contractor militar russi – inviati in forma non ufficiale, dispiegamento che si porta attorno una separazione di ruoli tra Difesa ed Esteri in seno a Mosca, con i primi che spingono sulle armi e la diplomazia che frena. Davanti a questo aumento delle capacità haftariane, la Turchia ha inviato ulteriori supporti armati a Misurata e l’intensità della battaglia sta aumentando. In questo contesto, anche grazie ai successi riportati in alcune aree strategiche (come Tarhouna, qualche decina di chilometri a est di Tripoli) , il Gna ha chiesto aiuto adesso per schiacciare l’offensiva di Haftar.

In questo stesso contesto si inserisce anche la dichiarazione dell’Ue. Ieri durante la presentazione del primo sottomarino “Piri Reis”, il primo completamente prodotto in Turchia, il presidente Recep Tayyp Erdogan ha detto che “se necessario, il Paese aumenterà il proprio sostegno militare al governo libico riconosciuto a livello internazionale”, ossia al Gna. La posizione di Ankara contro Haftar è legata sia al prolungamento di interessi mediterranei dei turchi, che nell’area orientale si sovrappongono (in modo competitivo) con quelli egiziani, sia a uno scontro più ampio con gli emiratini (e con i sauditi) che riguarda l’Islam sunnita.

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