Con la legge di Bilancio prossima all’approvazione definitiva, anche la nuova web tax versione 2020 – una sorta di via italiana alla tassazione dell’economia digitale – si appresta a diventare legge dello Stato.
Un autorevole studio del think tank tedesco ZEW, curato da tre economisti dell’Università di Mannheim, ha stimato in circa 52 miliardi di euro la potenziale perdita del valore di capitalizzazione delle aziende in conseguenza di una eventuale Digital Service Tax europea (la proposta di tassa europea su cui poi sono state mutuate la versione francese e la versione italiana della webtax). La parte più interessante dello studio tuttavia non è questa: infatti – al contrario di quanto si potrebbe pensare (e sicuramente al contrario delle intenzioni del legislatore) – più della metà delle aziende impattate sarebbero europee e le aziende del nostro continente sono anche quelle che hanno perso più valore all’annuncio rispetto ai giganti di oltreoceano, considerando che l’Europa è il loro mercato principale.
Venendo all’Italia, secondo lo studio sarebbero sette le aziende italiane impattate direttamente, tra cui Gruppo l’Espresso, Rcs, Mediaset e Mondadori: quindi, la norma pensata per colpire unicamente le big tech rischia di colpire direttamente aziende italiane strategiche e indirettamente un gran numero di Pmi. Infatti, la web tax italiana versione 2020 nella pratica si tradurrà in una sovrattassa per le realtà italiane che utilizzano i servizi digitali impattati, primi fra tutti editori e agenzie di comunicazione che comprano pubblicità online. Le piattaforme infatti – come già dichiarato da Amazon in Francia (dove una tassa analoga è in vigore da qualche mese) – non potranno che trasferire l’aliquota del 3% direttamente sui propri clienti.
Per fare un esempio, una Pmi italiana sosterrà dei costi maggiori rispetto a un’analoga impresa che opera in un Paese in cui la webtax “nazionale” non è in vigore, con dei danni evidenti in termini di concorrenza per le aziende del Bel Paese. Naturalmente di questo “effetto collaterale” – che colpisce in primis un settore in crescita come le web-agencies e sarà ben visibile in termini di Pil mancato – non vi è traccia nel nostro dibattito politico.
Tutto questo – peraltro – avviene a pochi mesi dal raggiungimento di un accordo in sede Ocse, atteso per febbraio 2020, che davvero potrebbe risolvere questa annosa questione una volta per tutte. Insomma, come spesso accade, la retorica non fa i conti con la realtà: il governo italiano – preso dalla furia tassatrice – ha introdotto una clamorosa autotassa, e a pagare il conto saranno le imprese italiane.
È davvero un peccato che un governo che ha fatto dell’innovazione una delle proprie parole d’ordine, dalla blockchain all’Intelligenza Artificiale, fino al fondo per le start up innovative, su questo tema non riesca a uscire dalla furia tassatrice che – come abbiamo visto nel recente passato – è sempre nemica della competitività, della produttività e della crescita. E – a dire la verità – è anche un peccato che i parlamentari e le forze politiche che hanno prontamente segnalato gli errori su plastic tax e tassa sulle auto-aziendali abbiano “dimenticato” anche solo provare a comprendere in concreto i limiti della webtax su scala nazionale.